Bene comune ed “ego”
Piero Marovelli, Andrea Bonacchi
“Ora la volontà individuale affronta un altro compito, superiore: quello di disciplinarsi e scegliere mete coerenti con il benessere degli altri e il bene comune dell’umanità.”
Roberto Assagioli
L’espressione “bene comune” ricorre spesso in contesti sociali e politici; noi la useremo nel suo significato originario e più semplice intendendo per “bene comune” qualcosa di buono, positivo al tempo stesso per noi e per gli altri.
Durante un’intervista fu chiesto al Dalai Lama come mai nei suoi insegnamenti e più in generale negli insegnamenti del buddhismo tibetano si parlasse molto di amore nelle diverse forme di amore altruistico, compassione, amore gioioso, equanimità, ma poco di amore per se stessi. Il Dalai Lama rispose che, quando parla di amore, egli intende un amore al tempo stesso per se stessi e per gli altri. Anche la spiritualità cristiana, che permea la nostra cultura europea, ha come fondamento un comandamento incentrato sull’amore; rispondendo alla domanda rivoltagli sul primo dei comandamenti, Gesù disse infatti: « Il primo è: “Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. E il secondo è questo: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più importante di questo. » (Mc 12,29-31). Ecco quindi che anche nella matrice spirituale cristiana troviamo l’amore per noi stessi indissolubilmente legato a quello per gli altri.
La cronaca sociale e politica, così come la nostra personale esperienza nei diversi contesti, quali ad esempio quello familiare, lavorativo, sportivo, sembrano portarci continuamente in contatto con iniziative talvolta orientate prevalentemente al bene comune, talvolta invece prevalentemente al bene personale e individuale, ricercato senza tener conto o addirittura a scapito del benessere altrui. Intorno a noi, accanto a manifestazioni di dono di sé, del proprio tempo e delle proprie risorse, accanto a esempi di solidarietà, di volontariato, vediamo manifestazioni di sopraffazione, di ricerca di potere e affermazione sugli altri, se non addirittura di ricerca di benessere personale perseguito danneggiando altre persone e i loro diritti o le loro possibilità di stare bene o di stare meglio.
Roberto Assagioli parla del “bene comune” e degli ostacoli alla sua realizzazione nel suo libro “L’atto di volontà”, particolarmente nel capitolo dedicato alla “volontà buona”. Scrive Assagioli: “… in realtà l’uomo isolato non esiste: è in costante interazione con la famiglia, i colleghi di lavoro e la società in genere. Ha molti rapporti e di vario genere. Per quanto forte e capace possa essere, un individuo che manchi di prendere in considerazione questi rapporti provoca inevitabilmente reazioni e conflitti che fanno fallire i suoi obiettivi. Questo sembra ovvio, eppure la vita moderna ci offre lo spettacolo di uno scontro generale di volontà da parte di coloro che si contendono il potere in tutti i campi. […] Per questo motivo vengono fatti molti tentativi di sostituire la competizione con la collaborazione, il conflitto con l’arbitrato e l’accordo, basati sulla comprensione dei giusti rapporti tra gruppi, classi, nazioni. Il successo di questi tentativi dipende dalla graduale armonizzazione della volontà di tutti. Tale armonizzazione è difficile in verità, ma è possibile; i diversi fini individuali si possono far rientrare nell’ambito di una più ampia solidarietà umana.”1
La Psicosintesi offre degli strumenti per lavorare individualmente e socialmente alla realizzazione di un maggior bene comune. Uno strumento principale, in tal senso, è rappresentato dalla realizzazione di una personalità più matura ed armonica, più saggia. Altro campo di lavoro fondamentale sono le relazioni (psicosintesi interpersonale e sociale).
Il lavoro sulla maturazione e sull’armonizzazione della personalità nella visione psicosintetica prevede, come passo fondamentale, che realizziamo di essere un Io-Centro, ovvero che riconosciamo di avere un regista interiore della trasformazione che ha come qualità salienti la consapevolezza, la volontà e – poiché per Assagioli la volontà deve essere “buona”, ovvero volontà di bene – la benevolenza. In Psicosintesi si riconosce inoltre l’essere umano in possesso di una natura che nella sua essenza più intima e profonda, nella sua “anima” potremmo dire, è positiva, saggia, pura, permeata di bontà. Roberto Assagioli usa la parola “Sé” (distinto dal “sé personale” o Io-Centro della personalità) per indicare questa natura ultima dell’essere umano. Il Sé si esprime nella vita di ognuno e la sua espressione è mediata dalla natura fisica-biologica e dalla personalità. La percezione e la manifestazione del Sé è resa difficile, incerta, rara, a causa dei numerosi limiti e delle tante problematiche in cui ci dibattiamo, a livello sia fisico che psicologico e relazionale. È possibile però fare esperienza della guida del Sé, ad esempio in forma di intuizioni.
Per poter crescere e accedere ad un maggior benessere per noi e per chi ci circonda non è sufficiente attivare le parti di noi positivamente evolutive ed espressive o le nostre qualità latenti; è necessario anche ridurre, sciogliere, depotenziare quelle parti di noi – quali atteggiamenti, credenze, modi di pensare, di sentire, di vedere, di rapportarci a noi stessi, al mondo e agli altri, – che producono sofferenza e che orientano ad un bene personale a scapito altrui. Allo stesso modo una barca a vela per poter navigare ha bisogno che le vele siano alzate e gonfiate dal vento e al tempo stesso che siano sciolte le cime che la tengono legata alle bitte del porto. Se anche le vele sono tese dal vento ma le cime non sono sciolte, la barca non può muoversi e resta anzi in tensione tra ciò che la sospinge in avanti e ciò che la tiene ferma.
Per questo motivo, per poter crescere e per poter contribuire al bene comune è importante che nel lavoro di psicosintesi personale, oltre al lavoro di realizzazione dell’Io-Centro e di apertura al Sé trans personale, ci sia anche, in parallelo, un lavoro di riconoscimento e ridimensionamento del nostro ego.
L’”ego” è la parte di noi che si nutre del bene proprio disgiunto dal bene degli altri, dell’attenzione per sé disgiunta dall’attenzione per gli altri, della cura di sé disgiunta dalla cura degli altri. Tanto maggiormente sviluppato è il nostro “ego”, tanto minore è l’attenzione per tutto ciò che non riguarda noi stessi e tanto minore è il nostro interesse per gli altri e per il loro bene.
L’”ego” è parte di ogni essere umano in quanto è mosso dagli istinti di autoconservazione e di autoaffermazione che tutte le persone hanno, in qualche misura.
Vi sono situazioni, come l’egoismo e l’egocentrismo, nelle quali l’”ego” assume un ruolo dominante nella nostra personalità e nella nostra vita di relazione.
L’ “egocentrismo” è quell’atteggiamento nel quale l’”ego” è fatto principio ispiratore prevalente ma non assoluto; resta presente la percezione degli altri ma è subordinata a quella dell’”ego”. Le persone egocentriche possono vedere e riconoscere quindi i pensieri, le emozioni, i bisogni, i valori degli altri ma le proprie idee, reazioni emotive e valori vengono percepiti come prioritari e centrali. Scrive Assagioli in proposito: “Tale atteggiamento è un errore fondamentale di prospettiva, un vero modo di vedere “Tolemaico” piuttosto che “Copernicano””2. La persona egocentrica tende a mettersi al centro della sua rappresentazione del mondo, con gli altri che gli ruotano intorno piuttosto che vedersi parte di un insieme, che si muove in una complessa rete di relazioni e interdipendenze. L’egocentrismo è in qualche misura un atteggiamento costitutivo di tutti gli esseri umani (soprattutto in alcune fasi della vita come la prima infanzia) e tutti coloro che sono impegnati in un percorso di crescita e autorealizzazione si trovano quindi a farci i conti.
L’egocentrismo è particolarmente spiccato in quanti di noi hanno una parte della personalità sofferente in quanto strutturata intorno ad un nucleo di paura e di disagio (sub-personalità nevrotica). Le nostre parti sofferenti sono di per sé egoiche, ci portano cioè a concentrare su di esse tutte le nostre attenzioni e cure, tendendo spesso a farci trascurare le altre parti di noi e a fare scivolare gli altri, nella loro autentica presenza, sullo sfondo. Vale però la pena sottolineare che possono essere egocentriche persone ricche di qualità, sufficientemente adattate al loro contesto di vita e con una rete di relazioni sociali anche ampia. L’egocentrismo è quindi uno stile percettivo e cognitivo che tutti abbiamo innato e che per essere modificato richiede un salto maturativo da compiere durante la vita attraverso un percorso educativo e auto trasformativo.
L’ ”egoismo” è quell’atteggiamento nel quale l’ego è fatto principio ispiratore assoluto, dirige atti, struttura pensieri, condiziona sentimenti in maniera così marcata da diventare quasi il proprio dio. In questa situazione gli altri vengono presi in considerazione solo marginalmente e per lo più come potenziali seguaci, strumenti di appagamento o adoratori del dio-ego. L’egoismo è una delle principali caratteristiche degli individui che hanno una personalità improntata da una componente (sub-personalità) narcisistica forte e prevalente. Potremmo dire che l’egoismo è l’estremizzazione di un atteggiamento egocentrico.
La presenza dell’”ego” in noi può essere causa di molte sofferenze e violenze. Scrive in proposito Roberto Assagioli nel suo libro “L’atto di volontà”: “[l’ego] è inevitabile che si scontri con ostacoli che ne bloccano la gratificazione, provocando aggressività e violenza, e la volontà di distruggere qualunque cosa interferisca con il raggiungimento del fine desiderato.” 3
Chiunque aspiri ad un maggior grado di benessere individuale e collettivo, e sia impegnato in un percorso finalizzato a concretizzare tale scopo, non può prescindere dal lavorare sul proprio ego, riducendone l’influenza nella propria vita e coltivando un punto di vista e un atteggiamento improntati ad un amore e ad una attenzione nelle quali “io” e “tu”, “io” e “altro” siano tenuti parimenti presenti.
E’ importante sottolineare che, perché una persona possa sviluppare uno stato di più profonda comprensione degli altri e un orientamento a perseguire il bene comune, non è sufficiente volere bene, amare gli altri ma è altrettanto necessario rinunciare all’egocentrismo. Scrive in proposito Assagioli: “Sfortunatamente l’amore personale non crea di per sé, come molti hanno tendenza a credere, la comprensione reciproca. Spesso si può osservare il triste spettacolo di persone che si vogliono molto bene, ma che non sanno capire o apprezzare le esigenze vitali dell’altro e così si causano reciprocamente grande sofferenza. L’eliminazione dell’egocentrismo e dell’incomprensione – generalmente essi sono collegati – richiede un approccio complesso e sapiente. Per prima cosa richiede la volontà di capire. Questa, a sua volta, richiede l’intenzione di capire e anche la rinuncia all’egocentrismo che ostacola la comprensione degli altri.” 4
La motivazione a lavorare sul proprio ego e verso un bene comune non è soltanto legata ad una “spinta del cuore”. Vi è anche un fondamento di ragionevolezza; se infatti ad una prima impressione può sembrarci che il bene personale derivi dalla gratificazione delle spinte egoiche, in realtà allargando la nostra consapevolezza ci possiamo rendere conto che un benessere individuale anche maggiore e più durevole ci può derivare dal perseguire il bene comune.
Ci possiamo chiedere a questo punto come fare per poter ridimensionare il nostro ego. Disponiamo in tal senso di diversi strumenti e tecniche.
Riconoscere la presenza dell’altro e porsi in una posizione di ascolto recettivo sono una premessa fondamentale del lavoro sul nostro ego.
Un campo importante di lavoro consiste poi nello sviluppo di un maggior grado di empatia. L’empatia è la capacità di guardare il mondo e le cose con gli occhi di un’altra persona. Tanto maggiore è la nostra empatia verso una persona tanto più siamo in grado di immedesimarci nei suoi sentimenti, emozioni, pensieri, punti di vista, valori, bisogni e desideri, sensazioni. Sviluppare l’empatia è requisito irrinunciabile per poter essere meno centrati sul nostro ego.
Essere più empatici ci aiuta inoltre a relativizzare il nostro punto di vista. Spesso infatti ci capita di avere la sensazione che il nostro modo di vedere le cose coincida con la corretta interpretazione. Quando abbiamo una opinione su qualcosa è importante renderci conto che non si tratta della “verità” ma solo del nostro punto di vista. E per quanto il nostro punto di vista possa essere verificabile e condivisibile da altri resta comunque espressione di propri modi di sentire, di pensare e di credenze personali. E’ importante sapere relativizzare il nostro punto di vista anche rispetto a noi stessi, prendere coscienza che i giudizi, le idee e le convinzioni nel tempo cambiano. A volte ci identifichiamo profondamente con idee e convinzioni diventando categorici e mostrando una grande difficoltà a cambiare giudizi e opinioni. Le persone più sagge ricordano di avere cambiato nel corso della vita idea non solo su questioni secondarie ma anche su questioni importanti; cercano di mantenere una elasticità di giudizio e di prendersi non troppo sul serio.
Saper empatizzare e relativizzare il nostro punto di vista, mettendoci in discussione, ci aiuta a sviluppare una capacità relazionale importante, quella della mediazione, che consiste nel trovare punti di incontro pratici e propositivi partendo da punti di vista diversi. Mediare significa aprirsi ad una convergenza che va oltre il vantaggio strettamente personale o la realizzazione di un proprio bisogno o desiderio per integrare in una visione e in una soluzione più ampie anche il riconoscimento e la gratificazione dei bisogni dell’altro.
Per ridimensionare il nostro ego è molto utile anche esercitarci nella gratitudine. Ha scritto Melanie Klein: “Il sentimento di gratitudine è una delle espressioni più evidenti della capacità di amare. La gratitudine è un fattore essenziale per stabilire il rapporto con l’oggetto buono e per poter apprezzare la bontà degli altri e la propria.” Avere qualcosa o qualcuno da ringraziare ci fa sentire quindi prima di tutto amati, ci ricorda che al di fuori di noi stessi c’è qualcuno che ci vuole bene e vuole il nostro bene. Ci pone inoltre la sfida di una reciprocità dell’amore che può iniziare proprio dalla gratitudine. La gratitudine, facendoci riconoscere ogni atto di amore nei nostri confronti come un dono di cui “rendere grazie”, ci distoglie anche dalla pretesa egocentrica, in cui a volte cadiamo, che l’amore degli altri, in particolare di alcune persone per noi significative e amate, ci sia dovuto.
La gratitudine ci consente poi di riconoscere i nostri limiti, le nostre fragilità, la nostra non autosufficienza, il nostro bisogno di essere aiutati, accompagnati, sostenuti. Ci permette quindi di non dover mostrare o fingere una forza, una bravura, un valore che non abbiamo realmente, mentre ci aiuta a sviluppare quella forza autentica che deriva dall’essere umilmente ma amorevolmente e costruttivamente consapevoli dei nostri limiti.
Lavorare alla riduzione del nostro ego prevede anche un esercizio di rispetto di ciò che è altro da noi a cominciare dalle persone, dagli animali, dalle cose, dai luoghi che ci circondano, dalle leggi e dalle regole della convivenza sociale. Il rispetto è il minimo di amore e di benevolenza che ci è richiesto per noi stessi e per gli altri.
Ogni giorno la vita ci pone molte occasioni per riconoscere la presenza degli altri, ascoltare, empatizzare, relativizzare il nostro punto di vista, prenderci meno sul serio, mediare, ringraziare, essere umili, rispettare.
Abbiamo qui ricordato alcuni modi per lavorare al ridimensionamento del nostro ego. Al fondo della possibilità di dedicare tempo ed energia a questo compito e all’allenamento che richiede vi è comunque un atto di consapevolezza e di volontà: consapevolezza che l’ego fa parte della vita interiore di ognuno e che trascenderlo è una componente del percorso di crescita di ogni essere umano; volontà di decidere, momento per momento, di andare oltre il nostro ego per “scegliere mete coerenti con il benessere degli altri e il bene comune dell’umanità”5.
L’ego non è l’unico grande ostacolo in cui possiamo incorrere nel percorso di ricerca e attualizzazione del “bene comune”. Vi è infatti un secondo ostacolo, di natura diametralmente opposta all’ego: lo scarso amore di sé, spesso accompagnato da un auto-giudizio svalutante. Si tratta di un vasto e importante argomento che non vi è qui spazio per approfondire e che ci proponiamo di riprendere.
La possibilità di avanzare verso una civiltà maggiormente improntata al dono e al dialogo dipende anche dall’impegno posto da ciascuno di noi a ridimensionare il proprio ego e a valorizzare invece il bene comune; a ognuno è affidata quindi una possibilità e una responsabilità in tal senso.
1 Roberto Assagioli L’atto di volontà Ed Astrolabio, Roma 1977 p. 68
2 Roberto Assagioli op. cit. p. 69
3 Roberto Assagioli op. cit. p. 69
4 Roberto Assagioli op. cit. p. 70
5 Roberto Assagioli op. cit. p. 69
Il presente articolo è stato pubblicato anche sulla rivista “Psicosintesi” n.19, aprile 2013.