di Barbara Beni
Dal 28 al 31 marzo ultimo scorso, nel cortile di Palazzo Strozzi, l’Accademia sull’Arte del Gesto di Virgilio Sieni ha coordinato Mistica Abbracci, una speciale azione dedicata al tema dell’abbraccio, in contemporanea alla mostra di Bill Viola, Rinascimento Elettronico.
Lungo una pedana di circa 18 metri, due persone potevano andare incontro all’abbraccio camminando piano, con lentezza; piano per sentire davvero ogni piccolo, singolo movimento.
Quando mai lo facciamo?
Il corpo sa cosa fare e di solito gli affidiamo in appalto la gestione, estraneandoci per seguire i nostri pensieri. Infatti ci sorprendiamo di inciampare, di cadere, ci coglie impreparati lo squilibrio, non siamo abituati a frequentarlo.
La lentezza invece invita all’attenzione, ad accorgersi del momento esatto in cui il peso del corpo pericolosamente passa dal lato del piede davanti a quello del piede dietro che avanza.
Sentiamo la tensione, la possibilità di squilibrio, i muscoli attivi.
Lungo la pedana è facile capire quanto il cammino non sia tanto un incedere quanto un cedere ogni volta alla forza di gravità che incombe su di noi. Impariamo a stare in piccoli movimenti morbidi che possano fendere una forza più grande.
E così, piano piano, due corpi sconosciuti l’uno all’altro si avvicinano.
Andando, con le braccia si ipotizza il contatto, si allungano le braccia, si allargano, si tende un braccio mentre l’altro torna lungo il corpo. Ci si stupisce di come, dopo i primi quattro, cinque passi, si crea come una bolla fra le due persone che si stanno di fronte. L’intorno non esiste, ognuno è concentrato su se stesso e sull’altro, a sentire il proprio movimento e seguire con lo sguardo quello dell’altro.
Avvicinarsi è una danza di specchi che tentano un linguaggio comune imitando, seguendo o suggerendo il movimento. Incontrarsi nell’abbraccio è condensare fra due corpi la materia che lungo il percorso ha riempito la bolla.
Ci si avvicina, percependo palesemente il momento in cui si “entra” nello spazio privato dell’altro, allora si indugia, come a chiedere il permesso, si cerca il modo, la forma, l’incastro giusto come per due pezzi di puzzle. Fin quando rimane un solo ultimo minimo spessore che si appiattisce nel respiro di due corpi sconosciuti che s’incontrano e si abbracciano, annusandosi come i gatti l’aria.