Per la rubrica:Curiosità e misteri nel mondo della psicologia, antropologia e spiritualità
di Patrizio Caini
biologo, ricercatore, analista comportamentale, giornalista pubblicista
Bentornati e benvenuti a questo secondo appuntamento con la rubrica “Scienza e Spiritualità” del Centro Studi e Ricerca Synthesis!
Li chiamano O.O.P.Art. (Out Of Place Artifact(s)), “oggetti (manufatti) fuori posto”, anche se sarebbe più corretto definirli “oggetti (manufatti) fuori dal tempo”, sì, perché si tratta di manufatti realizzati utilizzando una tecnologia più avanzata, a volte molto più avanzata, di quella che comunemente si ritiene esistesse nel periodo storico cui risalgono; veri e propri oggetti anacronistici, quindi, che costringono gli storici e gli archeologi, almeno quelli di buona volontà e interessati a conoscere la verità con la “v” maiuscola, a rivedere le conoscenze scientifiche e tecnologiche di tante culture e civiltà del passato.
O.O.P.Art. è un acronimo coniato dal naturalista, criptozoologo[1] e scrittore britannico, Ivan T. Sanderson (Edimburgo, 30 gennaio 1911 – New Jersey, 19 febbraio 1973), per indicare reperti anacronistici nell’ambito della paleontologia, dell’archeologia e della storia.
In questo articolo si parlerà di uno dei pochi O.O.P.Art. ad essere stati studiati scientificamente (di altri ci si occuperà nei prossimi articoli), la Colonna di Ashoka, una colonna di ferro che non arrugginisce mai! Ho avuto l’opportunità di ammirarla durante il mio primo viaggio in India, quando ero poco più di un bambino e ricordo che ne fui molto colpito; rimasi affascinato soprattutto dalla sua apparente semplicità, che nasconde però un segreto costruttivo che solo negli ultimi anni è stato svelato.
Ma procediamo con ordine. Come si è detto, la Colonna di Ashoka (Figure 1 e 2) si trova nel misterioso ed antico sub-continente indiano, più precisamente nel Complesso di Qutb, un importante sito storico della città di Delhi, proclamato Patrimonio dell’Umanità dall’U.N.E.S.C.O. (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization: Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura) nel 1993.
Fu fatta probabilmente costruire da Chandragupta II Vikramaditya (“Sole di valorosità”), meglio noto come Chandragupta II Il Grande, uno dei sovrani più potenti dell’impero Gupta del nord dell’India (IV-VI secolo d.C.), verso la fine del suo regno (375 d.C. – 415 d.C.). Come riporta un’iscrizione in sanscrito[2] presente sulla colonna, essa è dedicata a Visnù (o Vishnu), dio della conservazione, una delle divinità della trimurti del pantheon mitologico-religioso induista post-vedico[3]. Secondo il poeta e drammaturgo indiano Vishakdatta, il pilastro fu eretto per ricordare la vittoria di Chandragupta II sul popolo dei Vahilakas. Alla sua sommità, un tempo, si trovava una statua della grande aquila Garuḍa, il simbolo della dinastia dei Gupta ma anche la sacra cavalcatura di Visnù, con cui il dio, secondo la mitologia religiosa induista, si sposta da un luogo all’altro della Terra e dell’universo. È in ferro battuto, alto 7.21 metri, con un diametro di 41 centimetri e una massa di oltre 6 tonnellate. In origine si trovava su una collina consacrata a Visnù, chiamata Vishnupadagiri (“collina dell’impronta di Visnù”), oggi Udayagiri, a circa 50 chilometri a est della città di Bhopal, nello stato federato del Madhya Pradesh (India). Su questa collina sorgeva un importante complesso astronomico, dove la Colonna di Ashoka svolgeva una precisa funzione. Il 21 giugno, infatti, nel solstizio d’estate, l’ombra proiettata dal pilastro all’alba si allungava nella direzione del piede di Anantasayain Visnù. Nel XI secolo la colonna fu portata presso Delhi, dove Quṭb al-Dīn Aybak (Asia centrale, ? – Lahore, inizi di novembre 1210), primo sultano di Delhi e fondatore della dinastia dei Mamelucchi di Delhi, fece costruire il Quṭb Minār (Minareto di Quṭb) e la moschea Quwwat al-Islām. La tradizione locale vuole che la Colonna di Ashoka sia in grado di “riconoscere” i puri di cuore. Per sapere se si ha un cuore “puro”, si deve appoggiare la schiena alla colonna e provare ad abbracciarla completamente, toccandosi la punta delle dita con entrambe le mani. Se ci si riesce, sempre secondo la tradizione, si è una persona buona, leale e incorruttibile, proprio come la Colonna di Ashoka! Non è più possibile sottoporsi a questa curiosa “prova”, perché, nel 1997, attorno al pilastro, è stata collocata una recinzione in ferro, per impedire ai visitatori di danneggiarlo, toccandolo ripetutamente.
Detto anche “Colonna di Ferro”, questo pilastro non presenta quasi ruggine, nonostante sia stato esposto per ben 1600 anni al clima monsonico e, quindi, alla elevata umidità relativa, tipici di questa parte del mondo! Uno studio condotto da Ramamurthy Balasubramaniam, dal titolo “On the corrosion resistance of the Delhi iron pillar”, e pubblicato nel 2000 sulla rivista scientifica “Corrosion Science”, ha finalmente risolto il mistero dell’incredibile resistenza alla corrosione e all’ossidazione della “Colonna di Ferro”. Ramamurthy Balasubramaniam è un ricercatore che lavora presso il Dipartimento di Ingegneria Metallurgica e dei Materiali dell’Istituto Indiano di Tecnologia della città di Kanpur, nello stato di Uttar Pradesh (India). In India vi sono molti altri antichi manufatti in ferro, anche di grandi dimensioni, resistenti alla corrosione, come, ad esempio, la colonna di ferro situata nel tempio dedicato alla dea Mookambika, a Kollur, sulle colline di Kodachadri della costa ovest, nello stato di Karnataka (India). In passato gli indiani, specialmente nel periodo dell’impero Gupta, producevano ferro particolarmente resistente alla corrosione, a causa del suo alto contenuto in fosforo. Il ferro della Colonna di Ashoka, infatti, contiene una quantità di fosforo maggiore (0.18%) rispetto al ferro prodotto nei moderni altiforni (0.05%). Nelle antiche fornaci indiane, a differenza dei moderni altiforni, non veniva aggiunta la calce viva (ossido di calcio: CaO) e, quindi, le scorie[4] che vi si formavano erano per lo più scorie fayelitiche, costituite da ortosilicato di ferro (Fe2SiO4) e non contenevano la calce. Il trasferimento del fosforo dal metallo alle scorie è favorito proprio dalla calce presente nelle scorie stesse. L’assenza della calce nelle scorie, quindi, comporta un’efficienza più bassa nella rimozione del fosforo dal metallo, che si traduce in un contenuto di fosforo più alto. Secondo Balasubramaniam ed altri ricercatori, nell’antica India il fosforo veniva intenzionalmente aggiunto durante la produzione dei metalli. L’eccezionale resistenza alla corrosione atmosferica (ossidazione) mostrata dalla “Colonna di Ferro” è dovuta alla presenza di un sottilissimo strato protettivo, dello spessore di appena 200 micrometri[5], che riveste la superficie esposta del pilastro. Un fattore ambientale molto importante che interviene nel processo di formazione di questo strato è rappresentato dall’alternanza di aria secca e umida. Per comprendere il meccanismo di formazione dello strato protettivo è stato necessario analizzare la pochissima ruggine presente sulla colonna, al fine di identificarne la composizione chimica. A tal riguardo, sono stati prelevati alcuni campioni di ruggine da un’area, inaccessibile al pubblico e per questo motivo non alterata in alcun modo dai visitatori succedutisi nel corso dei secoli, situata nella parte alta della colonna, appena al di sotto del capitello decorativo. I campioni di ruggine sono stati analizzati mediante la diffrazione a raggi X, che ha rilevato la presenza di idrogeno fosfato idrato di ferro (FePO4·H3PO4·4H2O) in forma cristallina (struttura interna ordinata). Grazie alla spettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier è stato possibile appurare che nella ruggine della Colonna di Ashoka, oltre all’idrogeno fosfato idrato di ferro, sono presenti anche la lepidocrocite (γ-FeOOH), la goethite (α-FeOOH), la misawite (δ-FeOOH), la magnetite (Fe3O4)[6] e fosfati. La spettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier e la spettroscopia di Mössbauer hanno anche stabilito che gli ossidi/ossidrossidi di ferro (magnetite, lepidocrocite, goethite e misawite) sono presenti in forma amorfa (struttura interna disordinata). I prodotti di corrosione che si formano inizialmente sul ferro esposto agli agenti atmosferici sono la lepidocrocite, la goethite e la magnetite. Più precisamente, il primo ossidrossido a formarsi è la lepidocrocite; successivamente parte di esso inizia a convertirsi in goethite, modificando la composizione della ruggine, che, con il tempo, risulta essere formata da entrambi gli ossidrossidi. La lepidocrocite e la goethite, però, non svolgono alcuna azione protettiva nei confronti della corrosione e ben presto si fessurano e si rompono, consentendo all’ossigeno molecolare atmosferico (O2) e all’umidità di raggiungere la superfice del metallo, che così si corrode ulteriormente. Con il trascorrere del tempo, la lepidocrocite e la goethite si trasformano, in parte, in ossidi magnetici di ferro, in particolare in magnetite, che, a differenza degli ossidrossidi da cui derivano, costituiscono una prima barriera protettiva contro la corrosione atmosferica. La formazione di questi ossidi magnetici sulla superfice del metallo, infatti, ne riduce il tasso di ossidazione. La corrosione iniziale del ferro comporta un arricchimento di fosforo all’interfaccia tra il metallo e la ruggine e l’aumento della concentrazione di fosforo, a sua volta, catalizza la formazione di uno strato continuo e compatto di misawite in forma amorfa, adiacente all’interfaccia tra il metallo e gli ossidi di metallo. La formazione della misawite amorfa è responsabile dell’iniziale resistenza alla corrosione del ferro della Colonna di Ashoka, perché questo ossidrossido costituisce una barriera tra la ruggine e il metallo. Come si è detto, gli ossidrossidi e la magnetite presenti nella ruggine antica della “Colonna di Ferro” sono amorfi ma gli ossidi e gli ossidrossidi che si sono inizialmente formati sul ferro della Colonna di Ashoka sono cristallini! Evidentemente questi ossidi/ossidrossidi del ferro passano dalla iniziale forma cristallina a quella amorfa nel corso del tempo. A tal riguardo, si è visto che l’alternanza di aria secca e umida promuove tale conversione. Come si è detto, a causa dell’iniziale corrosione del ferro, si ha un aumento della concentrazione di fosforo nell’interfaccia tra il metallo e la ruggine. Il fosforo reagisce con il vapore acqueo presente nell’aria umida, dando origine, nell’interfaccia metallo-ossidi di metallo, all’acido fosforico (H3PO4) e creando così le condizioni ideali perché nella ruggine avvenga, con il tempo, la precipitazione di fosfato di ferro insolubile (FePO4·H3PO4·4H2O), processo chimico noto come fosfatazione del ferro. L’umidità necessaria per la formazione dell’acido fosforico è garantita da cicli alternati di aria secca e umida. Il fosfato di ferro precipitato si presenta inizialmente in forma amorfa, tuttavia quello identificato nei campioni di ruggine prelevati dalla colonna è cristallino, indicando che la ruggine è piuttosto antica. Con il tempo, infatti, il fosfato di ferro amorfo subisce una riorganizzazione della propria struttura interna diventando cristallino; ciò determina una significativa riduzione della porosità del fosfato e un conseguente aumento della protezione dall’ulteriore ingresso di umidità e ossigeno nel metallo. La riorganizzazione cristallina dell’idrogeno fosfato idrato di ferro è un processo chimico che avviene in profondità, all’interfaccia metallo-fosfato. Lo strato continuo di FePO4·H3PO4·4H2O in forma cristallina, formatosi all’interfaccia metallo-ossidi di metallo, è, quindi, responsabile della elevata resistenza alla corrosione atmosferica della Colonna di Ashoka. La prolungata alternanza di aria secca e umida svolge un ruolo importante nel processo di corrosione atmosferica della “Colonna di Ferro”, poiché accelera la precipitazione del fosfato cristallino protettivo e l’amorfizzazione della ruggine del pilastro. Si è visto che lo strato sottile più interno, adiacente alla superficie metallica, è quello di FePO4·H3PO4·4H2O, poiché è a questo livello che si ha l’arricchimento di fosforo. Lo strato successivo, più superficiale e addossato al primo, è quello di misawite in forma amorfa. Il terzo strato, ancora più superficiale e adiacente al secondo, è quello di goethite, lepidocrocite e magnetite, con quest’ultima addossata allo strato di misawite. Gli strati di idrogeno fosfato idrato di ferro e misawite, assieme alla magnetite, sono gli strati protettivi che conferiscono al ferro della Colonna di Ashoka un’eccezionale resistenza alla corrosione atmosferica.
In conclusione, la pochissima ruggine formatasi sulla superficie della “Colonna di Ferro” è composta da idrogeno fosfato idrato di ferro in forma cristallina e da lepidocrocite, goethite, misawite e magnetite in forma amorfa. Il principale fattore chimico-fisico responsabile della straordinaria resistenza alla corrosione atmosferica della Colonna di Ashoka è rappresentato dalla formazione di un sottilissimo strato di idrogeno fosfato idrato di ferro allo stato cristallino all’interfaccia metallo-ossidi di metallo, che diminuisce fortemente il tasso di ossidazione a causa della sua bassa porosità. Il processo di formazione del fosfato di ferro cristallino protettivo è favorito da cicli alternati di aria secca e umida, che, quindi, rappresentano un secondo importante fattore, questa volta di tipo ambientale, coinvolto nello sviluppo della resistenza alla corrosione atmosferica mostrata dalla “Colonna di Ferro”. Ricapitolando, le stupefacenti proprietà di resistenza all’ossidazione della Colonna di Ashoka sono dovute sia al peculiare clima di Delhi, caratterizzato da cicli alternati di aria secca e umida, sia al particolare tipo di ferro con cui è stato realizzato il pilastro, ricco di fosforo responsabile della formazione del fosfato di ferro cristallino protettivo.
Questo e altri studi scientifici sulla Colonna di Ashoka rappresentano un esempio illuminante di come, mettendo sotto la lente di ingrandimento della scienza un antico manufatto misterioso, a lungo ritenuto un O.O.P.Art., sia possibile, con un po’ di buona volontà, pazienza, obiettività, lungimiranza e senza pregiudizi di alcun tipo, svelarne i segreti che lo hanno avvolto per secoli. In futuro si prenderanno in esame altri O.O.P.Art., sia quelli per i quali la scienza ha finalmente trovato una spiegazione certa sia quelli che non ne hanno ancora ricevuto una. Alla prossima puntata, dunque!
Bibliografia.
– R. Balasubramaniam. On the corrosion resistance of the Delhi iron pillar. Corrosion Science. Marzo 2000. 42: 2103-2129.
– R. Balasubramaniam. On the growth kinetics of the protective passive film of the Delhi iron pillar. Current Science. Giugno 2002. 82(11).
Sitografia.
– https://www.treccani.it/enciclopedia/chandragupta-ii-vikramaditya_(Dizionario-di-Storia)/
– https://it.wikipedia.org/wiki/Chandragupta_II_il_Grande
–
https://it.wikipedia.org/wiki/Colonna_di_Ferro
[1] La criptozoologia, letteralmente “studio degli animali nascosti”, si occupa dello studio di tutti quegli animali, detti criptidi, come lo Yeti, il Bigfoot, il “mostro” di Loch Ness, il Mokele Mbembe e il chupacabra, solo per citarne alcuni, non ancora riconosciuti e identificati ufficialmente dalla zoologia o la cui esistenza è negata o fortemente messa in dubbio da questa. Può essere considerata a tutti gli effetti una branca della zoologia, se chi se ne occupa lo fa scientificamente, in caso contrario assume i caratteri di una pseudoscienza, “scivolando” e fermandosi inevitabilmente nelle tradizioni popolari, nel folclore e nella mitologia.
[2] Antico idioma indoeuropeo introdotto in India dagli Arii, una popolazione nomade guerriera proveniente dalla regione di Balkh, nell’odierno Afghanistan settentrionale, che, nel 2200 a.C. circa, invase l’India settentrionale.
[3] Le altre due divinità sono Brama (o Brahmā), il dio creatore dell’universo, e Siva (o Shiva), il dio della distruzione ma anche della ricostruzione.
[4] Durante i processi metallurgici che prevedono la fusione, come, ad esempio, la produzione della ghisa (lega ferrosa composta essenzialmente da ferro e carbonio, con una percentuale di carbonio piuttosto alta, prodotta in seguito alla riduzione o al trattamento a caldo dei minerali ferrosi) a partire da minerali contenenti ferro e la raffinazione del ferro, si formano, assieme al metallo, impurità, dette scorie, che incorporano tutte quelle sostanze che non devono restare nel prodotto finito e che non si volatilizzano passando allo stato gassoso. Le scorie si presentano come un materiale schiumoso che galleggia nel metallo fuso, materiale che, dopo essersi raffreddato, si trasforma in un amalgama di impurità non volatili provenienti dai minerali di partenza. Le scorie hanno una composizione variabile a seconda dei minerali metallici utilizzati e delle tecniche metallurgiche impiegate. In genere contengono silice (SiO2), calce, ossidi metallici, carbone, fosfati, solfuri, ecc. Le scorie prevalenti per quantità sono le scorie silicee e le scorie fosforiche.
[5] Il micrometro (µm) è un piccolissimo sottomultiplo del metro che corrisponde ad un milionesimo di metro (1 µm = 1 · 10-6 m).
[6] La formula mineralogica precisa della magnetite è Fe3-xO4.