di Patrizio Caini
biologo, ricercatore, analista comportamentale, giornalista pubblicista
Per la rubrica:Curiosità e misteri nel mondo della psicologia, antropologia e spiritualità
«Andremo da dio, lo saluteremo
e se si dimostra ospitale resteremo con lui
altrimenti risaliremo a cavallo e verremo via»
(Proverbio mongolo)[1]
Dopo le prime tre incursioni nei misteri della storia, dell’archeologia e dell’antropologia, che spero siano state di vostro gradimento e interesse, il quarto appuntamento con la rubrica “Curiosità e misteri nel mondo della psicologia, antropologia e spiritualità” è dedicato alla spiritualità. Esistono molte forme di spiritualità e religiosità, basti pensare alle tante religioni che hanno animato e influenzato le grandi civiltà del passato, come quella egizia, greca, indiana e delle Americhe, di cui hanno costituito il cuore pulsante. Ancora oggi ogni cultura ha una sua religione caratteristica, che continua ad animare e ad influenzare ogni suo aspetto. La prima forma di religiosità e di religione è probabilmente il culto dei morti e quello strettamente correlato degli antenati, riscontrabili già in molte culture della preistoria e persino in alcuni animali sociali, come gli scimpanzé, i delfini e gli elefanti! È ormai noto, infatti, che alcuni mammiferi particolarmente intelligenti siano consapevoli della morte e reagiscano al lutto in modo simile all’uomo. Gli zoologi[1] e gli etologi[2] hanno osservato come questi animali assumano, di fronte alla morte dei loro simili, comportamenti ritualizzati che presentano, sia pure in una forma molto semplice, i tratti distintivi di un vero e proprio funerale! Nei delfini, in particolare nei tursiopi (Tursiops truncatus), quando un esemplare sta per morire, i suoi simili si radunano attorno a lui, quasi come per dargli l’estremo saluto, fino a quando, sopraggiunta la morte, il suo corpo si immerge per l’ultima volta; a quel punto, il branco si allontana. Una sorta di funerale con tanto di sepoltura in mare! Negli scimpanzé (Pan troglodytes) e negli elefanti africani (Loxodonta africana), quando un componente del branco muore, i compagni si riuniscono attorno al suo corpo, quasi come per vegliarlo e gli elefanti lo toccano a turno con la proboscide, forse nel tentativo di “svegliarlo” o forse per accertarne l’avvenuta morte. Un comportamento analogo lo si riscontra, con un significato differente, anche in molte culture umane, in cui i parenti e gli amici del defunto toccano un’ultima volta la sua salma per dimostrargli il loro affetto e dargli l’estremo saluto. Negli elefanti si osserva un altro comportamento molto interessante, correlato alla morte dei loro simili. Questi pachidermi sono soliti “visitare” i loro morti, recandosi periodicamente nei luoghi dove si trovano le loro ossa, una sorta di cimiteri naturali all’aperto. Anche in questo caso si può ravvisare un’analogia con le tradizioni funebri umane, in cui i parenti e gli amici del defunto si recano a fargli “visita” nel cimitero dove riposano le sue spoglie mortali.
Dopo il culto dei morti e quello degli antenati, le due forme di spiritualità e religiosità più antiche sono senza dubbio l’animismo, che è una vera e propria religione, ancora oggi molto diffusa in alcuni paesi del mondo, soprattutto in Africa e in Asia, e lo sciamanesimo, che con la prima ha alcuni aspetti in comune. L’animismo, che vede nella figura dell’antropologo inglese Edward Burnett Tylor (Londra, 2 ottobre 1832 – Wellington, 2 gennaio 1917) uno dei suoi principali studiosi, si basa sulla credenza nell’esistenza di una miriade di esseri spirituali, cui ci si riferisce comunemente con il termine “spiriti”, che si ritiene animino ogni aspetto, ogni elemento, sia del mondo fenomenico vivente, come gli uomini, gli animali e le piante, sia di quello non vivente, come i fiumi, i laghi, le rocce, le montagne, il vento, la pioggia, il Sole, la Luna, ecc. Lo sciamanesimo o sciamanismo è un complesso ed articolato sistema di credenze, conoscenze e pratiche rituali, magiche, estatiche e curative, presente in molte culture e tradizioni, dall’Europa, dove, purtroppo, è sopravvissuto, nella sua forma tradizionale, solo tra i Sami, in Lapponia[3], alle Americhe, dall’Africa all’Asia, fino all’Oceania. Le più antiche testimonianze di pratiche sciamaniche sono rappresentate da alcuni petroglifi risalenti a circa 30000 anni fa! La figura centrale dello sciamanesimo è ovviamente lo sciamano[4], il cui compito è quello di fare da “ponte” tra il mondo terreno e il mondo ultraterreno o, per meglio dire, da intermediario o mediatore tra il mondo degli uomini e il mondo degli spiriti. Lo sciamano è un guaritore, in grado di comunicare con gli spiriti adiutori (aiutanti) grazie alla capacità di modificare volontariamente il proprio stato di coscienza, talvolta anche attraverso l’assunzione di sostanze psicotrope allucinogene. Egli è in grado di uscire da uno stato di coscienza ordinario, come quello di veglia cosciente, per entrare in uno stato di coscienza modificata, condizione che gli consente di intraprendere un “viaggio” metafisico ed esperienziale nel mondo ultraterreno (“viaggio sciamanico”), durante il quale interagisce e comunica con gli spiriti, dai quali acquisisce le conoscenze magiche necessarie per curare i suoi pazienti. Ogni evento infausto, ogni fenomeno avverso, ogni problema, ogni male, inclusa la malattia, scaturisce, per lo sciamanesimo, dalla rottura dell’equilibrio tra il mondo fisico e quello metafisico, tra il mondo naturale e quello sovrannaturale. Compito, non facile, e scopo dello sciamano è di ripristinare l’armonia e l’equilibrio tra questi due mondi, condizione imprescindibile per riportare ordine nella realtà fisica e nel mondo materiale. È interessante notare come il concetto di squilibrio come causa dei mali si ritrovi anche nella medicina tradizionale cinese. Nello “Huangdi Neijing” (“Libro Interno dell’Imperatore Giallo” o “Libro Esoterico dell’Imperatore Giallo”), un antico trattato di medicina cinese che la tradizione attribuisce a Huang Di (“Dio Giallo” o “Imperatore Giallo”)[5] e che sarebbe stato scritto a partire dal periodo dei Regni Combattenti (453 – 222 a.C.), le malattie sono quasi tutte ricondotte ad uno squilibrio tra lo yin e lo yang, i due principi energetici archetipici antitetici del taoismo (rispettivamente, male e bene, tenebre e luce, notte e giorno, demoni e dei, nero e bianco, negativo e positivo, passivo e attivo, femminile e maschile, freddo e caldo, acqua e fuoco, nord e sud, ovest e est, terra e cielo, Luna e Sole, ecc.). La rottura dell’equilibrio tra lo yin e lo yang, che all’interno del corpo si manifestano come freddo e caldo, esterno e interno, carenza ed eccesso, altera il normale flusso del qi o chi, la forza vitale, chiamata ki in Giappone e prāṇā in India, che permea l’intero universo e scorre, all’interno del corpo, lungo canali “energetici”, detti meridiani. Per mantenere il flusso del qi regolare ed equilibrato e, quindi, mantenersi in salute o per armonizzarlo, e guarire così da una malattia, la medicina tradizionale cinese ricorre a vari metodi, come l’uso delle erbe medicinali, l’agopuntura, la digitopressione attraverso varie tipologie di massaggio e la pratica psico-fisica del Qi Gong, un’efficace forma di meditazione dinamica. È lecito ipotizzare, quindi, che alcune credenze proprie dello sciamanismo, presente anche in Estremo Oriente, siano confluite, adattandosi e modificandosi secondo il pensiero filosofico sviluppatosi in Cina, nella medicina tradizionale cinese. Nello sciamanesimo, tuttavia, non esiste una medicina codificata come nella cultura cinese. Lo sciamano acquisisce di volta in volta le conoscenze utili a risolvere un dato problema o a curare una determinata malattia, attraverso il “viaggio sciamanico”, durante il quale interpella gli spiriti per sapere come procedere a seconda dei casi.
Da appassionato di religioni comparate e, soprattutto, di religioni e filosofie orientali, negli anni mi sono avvicinato sempre di più allo studio dell’animismo e dello sciamanesimo, in particolare di quest’ultimo, focalizzandomi sullo sciamanesimo tibetano, su quello dell’area himalayana e dell’Asia Centrale e Settentrionale e su quello del bacino amazzonico. Durante un avventuroso viaggio compiuto in Mongolia tra luglio e agosto 2018, ho “scoperto” lo sciamanesimo di questo affascinante, misterioso, remoto e misconosciuto paese ma purtroppo, in quell’occasione, non ebbi modo e tempo di studiarlo e sperimentarlo come e quanto avrei voluto. L’occasione mi si ripresentò, completamente inaspettata ed improvvisa, poco meno di un anno e mezzo dopo, quando un amico, certo che mi sarebbe interessato, mi mise al corrente che un suo amico, grazie all’Associazione Mongolia Italia, con sede a Ulaanbaatar (Figura 1A)[6], avrebbe invitato in Italia, a Firenze, per un seminario teorico-pratico sullo sciamanesimo mongolo, un’autentica sciamana! L’evento si sarebbe svolto su invito e sarebbe stato a numero chiuso, riservato ad una ristrettissima cerchia di persone. Grazie all’interessamento del mio amico, ottenni di potervi partecipare assieme a lui. Il seminario, dal titolo “Insegnamenti di Sciamanesimo Mongolo”, si tenne a inizio dicembre 2019, presso una sala, opportunamente allestita, di un noto ed autorevole centro per lo studio e la pratica del Wushu[7]. Il primo giorno, dedicato alla teoria, i partecipanti furono una trentina mentre il secondo, dedicato alla pratica, fu riservato ad una cerchia ancora più ristretta di persone, una ventina. La sciamana, una donna piuttosto alta e robusta, tra i quaranta e i cinquanta anni, che chiamerò con le sue iniziali, B.D., arrivò al centro accompagnata da un’interprete mongola, che tradusse in italiano le sue parole direttamente dal mongol khel o mongolo khalkha[8], la lingua ufficiale mongola, assai difficile da parlare per un occidentale, per la presenza di molti suoni totalmente estranei al nostro apparato fonatorio. Prima di iniziare il seminario, B.D. precisò che non avrebbe tenuto una conferenza classica, preferendo rispondere alle domande dei partecipanti. Quello che segue è il resoconto di ciò che la sciamana disse e fece durante il seminario.
Il primo concetto basilare emerso dalle risposte alle prime domande fu che lo sciamanesimo non è una religione in senso stretto, bensì un culto legato alla natura, antico quanto l’uomo. Lo sciamanismo è antecedente a tutte le religioni, perché è “nato”, si è sviluppato e si è diffuso prima di queste. In questa tradizione spirituale non vi sono santi; essi sono presenti solo nelle religioni o almeno in alcune di esse. Lo sciamanesimo è considerato un dono del Cielo per aiutare il prossimo, per risolvere i tanti problemi della vita e quelli di salute, per colmare i “buchi energetici” che causano le malattie, per far piovere o far smettere di piovere. Lo sciamano, quindi, è visto come un “dottore” spirituale, un guaritore nell’accezione più ampia del termine, uno “psicologo” energetico. Lo sciamanismo è altruismo, generosità verso il prossimo. Lo sciamanesimo mongolo è autoctono; nasce e si sviluppa in Mongolia[9], dove vi sono luoghi che la tradizione popolare considera di guarigione, definiti luoghi di “potere” o centri “energetici”. A tal riguardo, B.D. portò come esempio un remoto monastero situato nel Deserto del Gobi, fondato da un monaco buddhista che in precedenza era uno sciamano, fatto tutt’altro che insolito, come si vedrà in seguito. È interessante notare come nello sciamanesimo mongolo, proprio come nel buddhismo e nell’induismo, sia presente la credenza nella reincarnazione! Secondo tale credenza, dopo la morte, le anime di alcune persone vanno direttamente in Cielo mentre altre rimangono come sospese tra questo e la Terra[10]. Le anime di molti individui, invece, si reincarnerebbero in esseri evolutivamente superiori o inferiori, a seconda delle azioni, rispettivamente, buone o cattive[11] compiute in vita. È anche prevista la possibilità di rinascere in una famiglia differente; ciò accadrebbe quando, per vari motivi, non si è stati bene in quella precedente. Nella cosmogonia dello sciamanesimo mongolo il Cielo è governato da 13 teste di orso (!), che decidono a chi donare la condizione sciamanica.
All’epoca degli Unni, lo sciamanesimo era ampiamente diffuso in Mongolia e svolgeva un ruolo di primaria importanza nella società civile e nella vita di tutti i giorni. Lo stesso Temüjin Borjigin, più noto come Chinggis Khaan o Gengis Khān (alto corso dell’Onon, 16 aprile 1162 – Yinchuan, 18 agosto 1227) (Figura 1B), fondatore dell’impero mongolo (1206 – 1368) (Figura 1C), si serviva di un potente sciamano come di un consulente spirituale. In Mongolia lo sciamanesimo è esistito fino all’arrivo dei Manciù o Manchu, che provenivano dalla Manciuria, una regione situata nel nord-est della Cina. I Manchu, gli antichi Jurchi, dominarono la Mongolia per quasi tre secoli, a partire dalla prima metà del XVII secolo, e fondarono la grande e potente dinastia Qing o Ch’ing (1636 – 12 febbraio 1912). Con i Manchu, arrivò in Mongolia anche il buddhismo, che ben presto si scontrò con lo sciamanesimo autoctono, molto più antico. Il primo ebbe inesorabilmente la meglio sul secondo e molti sciamani furono costretti a diventare monaci per continuare a condurre una vita tranquilla e serena. In questo processo di integrazione forzata, alcuni oggetti rituali dello sciamanesimo furono assimilati dal buddhismo ed utilizzati dai monaci nei loro riti. Öndör Gegeen Zanabazar, più noto, semplicemente, come Zanabazar (1635 – 1723)[12], capo spirituale del buddhismo in Mongolia e terza autorità religiosa buddhista (Jetsun Dampa Khatukhtu) più importante dopo il Dalai Lama e il Panchen Lama, riconosciuto, tra l’altro, dal quinto Dalai Lama (“Maestro Oceanico”)[13] come l’incarnazione di Taranatha (1575 – 1634)[14], entrò in aperto conflitto con lo sciamanesimo, perché voleva tenerlo separato e distinto dal buddhismo, tuttavia, dopo la sua morte, quest’ultimo, non riuscendo a soggiogare lo sciamanismo, finì per assimilarlo ed incorporarlo, in un complesso e non sempre riuscito processo di sincretismo filosofico e religioso.
Si ritiene che il Cielo invii certi segnali a determinate persone, che potrebbero successivamente diventare sciamani. Gli spiriti cercano in questo modo di mettersi in contatto con loro. Si tratta di una vera e propria chiamata dal Cielo, detta “chiamata sciamanica”, e chi la riceve, inizia a comportarsi in modo strano. Non esiste una scuola di sciamanesimo, né in Mongolia né altrove. Le persone che ricevono la “chiamata sciamanica”, in genere, non sono preparate e possono spaventarsi; se non vengono aiutate da un altro sciamano, possono ammalarsi e addirittura morire! Le modalità con cui avviene la “chiamata sciamanica” sono differenti per ognuno. Alcune persone si ammalano, altre vedono e/o sentono “cose” strane. Quando in Mongolia il potere era esercitato da un governo filo-sovietico e il paese si trovava nella sfera di influenza geopolitica dell’U.R.S.S. (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche), gli sciamani venivano ritenuti schizofrenici e internati nei manicomi! Nello sciamanesimo mongolo si distinguono due grandi categorie di spiriti: quelli legati ad una persona e quelli della natura. I secondi sono ovunque: negli alberi, nei fiumi, nei laghi, nelle montagne. Ogni elemento naturale ha il proprio spirito, perciò vi sono gli spiriti degli alberi, dei fiumi, dei laghi e delle montagne. Si crede che lo spirito di un elemento naturale sia il suo “padrone”. Anche un oggetto, come uno strumento, un utensile o una casa, ha il proprio “padrone”. Poi vi sono i cosiddetti spiriti-stregoni, spiriti di persone cattive molto pericolosi, che soltanto lo sciamano sa gestire e, all’occorrenza, scacciare (le persone normali non hanno le capacità per farlo).
La condizione sciamanica è transnazionale, ossia non è legata ad un paese o ad una cultura specifici. Essa è considerata una sorta di talento che può essere scoperto nel corso della vita. Prima di diventare uno sciamano, tuttavia, occorre realizzarsi spiritualmente. Si ritiene che alla nascita tutti gli individui abbiano certe capacità (“intuizioni”), che poi vengono perse durante la crescita. Tali poteri, però, non vengono persi per sempre; essi possono, all’occorrenza, essere recuperati. In alcune persone, invece, queste capacità si mantengono per tutta la vita. Gli sciamani sono individui ritenuti dotati di poteri particolari, che consentono loro di entrare in contatto con il mondo degli spiriti. Tali poteri vengono trasmessi da un membro all’altro della famiglia di appartenenza. Esistono anche persone simili agli sciamani, con poteri analoghi, che possono non essere imparentati con quest’ultimi. Anche gli individui normali possono entrare in contatto con gli spiriti-padroni, ad esempio abbracciando un albero o aiutando un animale in difficoltà; sono tutti modi per avvicinarsi alla natura, che non mancherà di ringraziarci. Lo sciamano, tuttavia, percepisce la natura in modo differente dalle altre persone. Se, ad esempio, scorge un piccolo e (apparentemente) insignificante segno sul tronco di un albero, può interpretarlo come un segnale inviatogli dal Cielo o dallo spirito-padrone di quell’albero, un aiuto per risolvere un dato problema. Lo stesso rumore prodotto dall’acqua di un fiume che scorre o di una cascata che si getta da una rupe, può avere, per lo sciamano, un preciso significato e spiegargli qualcosa che alle persone normali sfugge. Se un luogo, in cui non eravamo mai stati prima, ci trasmette sensazioni piacevoli, significa che esso ci accetta; in caso contrario, siamo di “troppo” e dobbiamo chiedere scusa per essere lì. Sono gli spiriti a decidere quali persone lo sciamano deve aiutare. Egli non ha alcun potere decisionale in tal senso, ciononostante vi sono sciamani che offrono i propri servigi a molte persone, altri solo ai propri familiari, altri ancora operano esclusivamente per se stessi. Lo sciamano fa da tramite e attraverso di lui gli spiriti intervengono nel mondo fisico, facendo piovere, guarendo i malati, ecc. Lo sciamano, quindi, agisce da tramite tra il mondo fisico e il mondo spirituale, rivolgendo domande agli spiriti, riferendo ai suoi “clienti” le loro risposte ed interpretandole. Ogni paese ha il proprio sciamanismo e ogni sciamano è differente da tutti gli altri, ad esempio nel modo in cui entra in trance. Quando lo sciamano non è in trance, è una persona normale, come tutte le altre, ma quando entra in questo particolare stato di coscienza modificata e contatta gli spiriti, corre sempre qualche rischio; se commette un errore, infatti, può non tornare più indietro e morire! Per questo motivo, egli deve prepararsi bene prima di entrare in trance e predisporre tutte le protezioni necessarie contro gli spiriti maligni, ad esempio utilizzando particolari erbe, preferibilmente in polvere, come il timo[15] e il ginepro. Il timo viene impiegato per tenere lontani gli spiriti malvagi mentre il ginepro per “purificare” i luoghi sacri in alta quota. Il timo e il ginepro vengono “passati” negli angoli della casa, dove si ritiene si annidino, in genere, gli spiriti maligni[16]. Si crede che durante la trance la coscienza dello sciamano esca dal suo corpo e che lo spirito contattato vi entri, del tutto o in parte (a metà!). La prima eventualità è pericolosa, perché lo spirito potrebbe non volere più uscire dal corpo, perciò questa pratica viene eseguita soltanto dagli sciamani più potenti. Quando uno spirito “entra” nel corpo dello sciamano, condizione nota agli antropologi come incorporazione[17] o possessione, a seconda del contesto culturale, il secondo può perdere l’equilibrio e cadere a terra, quindi è necessario che sia presente un’altra persona che lo sorregga. In alcuni casi, durante l’incorporazione o la possessione, lo sciamano parla l’antica lingua dei mongoli, che viene tradotta dall’aiutante, evidentemente selezionato sulla base della conoscenza di tale idioma[18]. Quando uno spirito maligno “entra” nel corpo dello sciamano, lo fa in modo tale che quest’ultimo non si renda conto della sua malvagità. Tra gli spiriti con cui lo sciamano può entrare in contatto e che possono nuocergli, vi sono anche quelli di persone decedute improvvisamente. In generale, “chiamare” l’anima di un defunto è potenzialmente pericoloso, perché, una volta evocata, potrebbe rimanere intrappolata tra la Terra e il Cielo e non fare più ritorno nel mondo degli spiriti. Un’altra mansione che lo sciamano è chiamato ad assolvere è l’ispezione spirituale di un luogo, per stabilire se esso sia “infestato” da spiriti maligni[19]. Si ritiene che due coniugi non possano essere entrambi sciamani; solo uno dei due può esserlo. Nel caso in cui lo siano entrambi, infatti, all’interno della coppia può nascere un forte conflitto, con uno dei due coniugi che tenderà a prevaricare l’altro e ciò, con il tempo, comprometterà irrimediabilmente la loro relazione.
Ogni rituale, ogni “seduta”, rappresenta per lo sciamano un vero e proprio esame. Alcuni rituali devono essere celebrati di sera, con il buio. Se un rito viene eseguito in uno spazio chiuso, come una stanza, in ogni angolo viene disposta una candela. Uno dei rituali più singolari dello sciamanesimo mongolo consiste nel parlare all’acqua pura (acqua di sorgente), come se fosse una persona, raccontandole ciò che di negativo è accaduto durante la giornata e, una volta concluso il monologo, nel gettarla in terra o, se si è in casa, nel gabinetto! È importante guardare l’acqua mentre le si parla! Nello sciamanesimo mongolo anche la doccia assume un significato spirituale. L’acqua, infatti, scorrendo sul corpo, rimuove, oltre allo sporco, anche le “negatività”; in questo modo, ci si pulisce spiritualmente. In un altro rituale lo sciamano esegue un massaggio terapeutico indossando braccialetti protettivi di rame e argento ad entrambi i polsi; si crede che in questo modo le “energie” negative rimosse dal paziente non vengano assorbite dallo sciamano, perché verrebbero bloccate dai braccialetti. Al termine della “seduta”, il rituale si conclude con il lavaggio delle mani con acqua fredda. L’ambiente dove lo sciamano opera non viene “pulito” dopo ogni “seduta”, per non rimuovere le sue stesse “energie” positive. Nel caso in cui, però, lo sciamano “tratti” un paziente “strano” e “negativo”, al termine della “seduta” “purificherà” l’ambiente accendendo uno o più incensi. Il fumo dell’incenso che brucia può essere, all’occorrenza, interpretato anche a scopo divinatorio. Quella dell’uso dell’incenso per “purificare” gli ambienti dalle “negatività” è una pratica molto diffusa nello sciamanesimo mongolo. Si crede che lo stesso effetto venga prodotto anche accendendo un fuoco e alimentandolo per avere molte fiamme alte. Come in altre tradizioni spirituali, anche nello sciamanesimo mongolo, la preghiera svolge un ruolo di primo piano ed è considerata, in generale, una pratica molto efficace. All’occorrenza, però, la preghiera può essere sostituita dal semplice eloquio. Nello sciamanesimo mongolo esiste un rituale di protezione riservato ai bambini, che prevede che il padre si procuri un po’ di feltro (stoffa realizzata utilizzando il pelo di vari animali), lo tagli a forma di volpe (!) e lo appenda sopra la culla o il lettino del figlio o della figlia a protezione. Un altro interessante rituale di protezione destinato ai più piccoli prevede che si cuciano campanellini sulle loro scarpe o sul retro dei loro vestiti. Il bambino o la bambina, muovendosi, fa suonare i campanellini, cacciando in questo modo gli spiriti maligni. I campanellini hanno anche un uso pratico; servono a rintracciare i bambini che si allontanano da casa per giocare, scongiurando il rischio che si perdano nella sconfinata steppa mongola (Figure 2A e 2B). Gli stessi campanellini sono cuciti anche sulle vesti rituali degli sciamani, anche in questo caso per allontanare gli spiriti maligni. Vi è poi un rituale di protezione per chi abita nelle immediate vicinanze di un cimitero. In linea generale, sarebbe meglio non abitare in una casa situata vicino ad un camposanto, tuttavia, se chi vi dimora gode di buona salute, sia fisica sia mentale, non deve temere alcunché; in caso contrario, dovrebbe trasferirsi in un’altra abitazione per evitare che le condizioni di salute si aggravino. Qualora non sia possibile cambiare casa, collocando uno specchio circolare all’esterno dell’abitazione, ci si garantirebbe protezione dalle “energie” negative provenienti dal cimitero. Lo specchio, però, non deve essere orientato verso il camposanto, altrimenti le “negatività”, riflettendosi su di esso, potrebbero tornare indietro, verso il cimitero, in un circolo vizioso senza fine! Nella tradizione sciamanica mongola e, in generale, in quella asiatica, lo specchio è considerato un vero e proprio scudo spirituale, con cui lo sciamano si difende dalle “energie” negative emanate dai suoi “clienti/pazienti”.
La complessità dei rituali dello sciamanesimo mongolo si riflette nella grande varietà degli oggetti cultuali utilizzati dallo sciamano durante i vari riti. Uno dei principali e più importanti oggetti rituali dello sciamanesimo mongolo è il tamburo (Figura 3A), rigorosamente realizzato in materiale naturale, in genere in pelle.
A seconda dei casi, il tamburo svolge diverse funzioni, come “chiamare” gli spiriti benevoli, allontanare quelli malvagi e agire da “veicolo” per il viaggio sciamanico. Di certo il suono basso e ritmico che esso produce quando viene percosso dallo sciamano ne favorisce l’ingresso in trance. Il mantello che lo sciamano indossa durante i riti, è un altro oggetto rituale molto importante. Sul retro vi sono nove[20] strisce colorate che rappresentano serpenti, adornate da vari campanellini il cui suono, come si è detto, si crede abbia il potere di cacciare gli spiriti maligni. Il vestiario dello sciamano mongolo comprende anche un copricapo provvisto di nappe che cadono sul volto (Figura 3B). La funzione delle nappe è duplice: aiutare lo sciamano ad entrare in contatto con il mondo spirituale e, al contempo, impedire agli spiriti maligni di entrare nel suo corpo. Sul copricapo sono dipinti due occhi, attraverso i quali lo sciamano vede quando è in trance (Figura 3C). Sul davanti egli porta due specchi; il primo protegge dalle frecce mentre il secondo, di colore bianco argenteo, cura. Un altro oggetto rituale molto importante utilizzato nello sciamanesimo mongolo è il bardak, una sorta di bastone lungo circa 50 cm, a cui sono appesi numerosi piccoli ciondoli metallici con funzione di protezione, che riproducono in miniatura armi e utensili vari (un arco con frecce, un’ascia, un martello, una sega, una pinza per prendere la brace, una forchetta, ecc.). Nel corso del tempo alcuni utensili di uso comune hanno assunto una funzione apotropaica, come la pinza per prendere la brace sul fuoco, che viene posta sopra la porta a protezione della casa e di chi vi abita, o la sega, che viene posta anch’essa sopra la porta, con i denti rivolti verso il basso, per evitare di litigare. Anche alcune armi hanno finito per assumere una forte valenza scaramantica e propiziatoria. Arco e frecce, ad esempio, se vengono rivolti verso la porta, garantiscono protezione alla casa. Lo stesso effetto viene prodotto collocando sopra la porta parte del corpo di un riccio! Tutti gli oggetti che si crede proteggano la casa e i suoi occupanti dagli spiriti maligni, possono essere posti anche sopra le finestre. Gli animali occupano un posto di rilievo nell’articolato sistema di credenze della tradizione spirituale mongola. Il gufo è considerato efficace contro gli spiriti maligni. La zanna di lupo e l’artiglio dell’orso portano fortuna e infondono forza agli uomini (maschi).
Per B.D. la “chiamata sciamanica” arrivò all’età di dodici anni, quando iniziò a vivere strane esperienze, diventando a poco a poco una sciamana. Nonostante ciò, riuscì a completare il percorso scolastico, diplomandosi alla scuola superiore, dopodiché si dedicò al commercio. La condizione sciamanica è molto differente da quella monastica; gli sciamani mongoli possono sposarsi e avere figli. La stessa B.D. ha una famiglia e conduce una vita normale, compiendo normali azioni quotidiane e svolgendo le medesime attività delle persone normali. In Mongolia vi sono due gruppi etnici principali. I genitori di B.D. appartengono ad entrambe le etnie. Il fatto di avere “sangue misto”, secondo il sistema di credenze dello sciamanesimo mongolo, la rende una sciamana particolarmente potente. Quando entra in trance, infatti, la sua particolare condizione le consente di contattare gli spiriti di entrambe le etnie. Ogni uomo e ogni donna ha una “missione” da compiere sulla Terra. Quella di B.D. e degli altri sciamani è aiutare gli altri. Ovunque la chiamino per beneficiare delle sue capacità, lei va, anche se ciò significa allontanarsi per migliaia di chilometri dal suo paese e dalla sua famiglia, come ha fatto quando è stata invitata in Italia. B.D. precisò che tra le sue capacità non vi è quella di prevedere il futuro[21], anche se disse di conoscere una sciamana bulgara che sarebbe in grado di farlo (avrebbe previsto anche gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 …!). Dopo avere risposto a diverse domande dei presenti sullo sciamanesimo mongolo, B.D. chiese ai partecipanti di rivolgerle domande sulla loro vita. Chi lo fece, dovette prima fornire nome, cognome e data di nascita, dati indispensabili per poter rispondere a questo tipo di domande. Solo conoscendo questi dati, B.D. avrebbe potuto visualizzare con gli “occhi” della mente le situazioni di vita dei presenti. Si crede, infatti, che, conoscendo il nome e il cognome di una persona e l’anno, il mese, il giorno, l’ora, il minuto e il secondo in cui è nata, si possano definire alcuni aspetti della sua vita. È importante formulare correttamente le domande per evitare di irritare gli spiriti. Se, ad esempio, si chiede quale sia la “missione” da compiere nella vita o se sia giusto e opportuno svolgere un determinato lavoro, significa che non si ama ciò che si fa e lo spirito-padrone del lavoro potrebbe offendersi! Già, perché ogni cosa ha uno spirito-padrone, persino i mestieri! Durante l’incontro B.D. ci mostrò il tamburo rituale che utilizza per entrare in trance, dicendoci però di non poterlo suonare fino al giorno dopo, quando era previsto che entrasse in trance, altrimenti ciò sarebbe potuto avvenire in quello stesso momento. Si crede, infatti, che, se non vi è una reale necessità per entrare in trance, ciò comporti inutili rischi.
Il secondo giorno del seminario, che vide un uditorio ancora più ristretto, con una ventina di partecipanti, B.D. ci mostrò il modo in cui raggiunge la trance durante un tipico rituale sciamanico, nel corso del quale rispose ad un paio di domande di ognuno dei presenti. Utilizzò due piatti, uno per gli spiriti e uno per noi. Pose uno dei due piatti sul pavimento, sopra una busta di carta, e vi mise un po’ di polvere di timo. Su un tavolino vicino, dispose molte offerte destinate agli spiriti (un po’ di latte, una bottiglia di vodka, qualche dattero e diversi biscotti e cioccolatini). Con un accendino accese un incenso e una candela posti sul tavolino e dette fuoco alla polvere di timo contenuta nel piatto posto sul pavimento. Sempre con l’accendino, riscaldò la parte interna del suo tamburo, per rimuovere l’umidità accumulatavisi durante la notte. Poi chiese ad ognuno di noi di scavalcare tre volte il piatto posto sul pavimento, passandoci sopra come buon auspicio. In ogni angolo della stanza dispose una candela accesa, per un totale, quindi, di quattro candele. Il quattro è un numero pari; si crede che i numeri pari blocchino gli spiriti malvagi, al contrario di quelli dispari, che, invece, aprirebbero loro la strada. Ad un certo punto, B.D. iniziò a suonare uno scacciapensieri[22], probabilmente per favorire la trance, dato il suo suono ritmico e ripetitivo[23], dopodiché spruzzò un po’ di vodka[24] attorno a sé. Subito dopo cominciò a suonare il tamburo, percuotendolo con forza con una mazza di legno, e a cantare con voce forte e squillante, muovendo il busto su e giù. Trascorsi alcuni minuti, visibilmente affaticata, si sedette e chiese se qualcuno dei presenti avesse per caso un oggetto datogli da uno sciamano mongolo! Aggiunse che tra di noi vi era qualcuno che voleva piangere ma che si tratteneva, precisando che lei non avrebbe potuto piangere per questa persona. Continuando a suonare il tamburo e a cantare, “richiamò” i nostri cari defunti, interrompendosi solo per bere un sorso di vodka. Analizzando con attenzione la situazione, risulta chiaro come, in questo caso, la trance sciamanica venga indotta da cinque fattori che agiscono sinergicamente e simultaneamente o quasi: il suono ritmico e ripetitivo dello scacciapensieri e successivamente del tamburo rituale, il canto, anch’esso ritmico e ripetitivo, una peculiare modulazione della voce durante il canto, caratterizzata da un volume e un tono particolarmente alti, la ripetizione di alcuni movimenti del corpo, soprattutto del busto, e l’inalazione dei vapori alcolici della vodka e/o la sua ingestione[25]. Questi cinque fattori, unitamente ad una predisposizione individuale, probabilmente su base neuropsicologica, inducono una rapida modificazione dello stato di coscienza, che passa dalla veglia vigile alla trance di tipo sciamanica. Nel corso di un viaggio compiuto in Tibet nel 2005, ebbi modo di rilevare una situazione similare durante la visita del monastero di Nechung (Figura 4A), celebre per essere stato, fino al 1959, la sede del più conosciuto e importante oracolo tibetano, l’Oracolo di Stato.
All’inizio dell’anno il Dalai Lama consultava, in merito ad importanti questioni di stato, l’oracolo di Nechung, il pawo (o lhapa)[26] medium di Dorje Drakden, una manifestazione di Pehar[27], protettore gelugpa[28] dello stato buddhista. Nel 1959 l’oracolo e il Dalai Lama furono costretti a riparare in India. L’Oracolo di Stato continua a svolgere la sua funzione a Dharamsala, in India, dove vive il Dalai Lama e ha sede il governo tibetano in esilio. Chi ha avuto la fortuna di avere visto in azione l’Oracolo di Stato racconta che, durante la trance, i suoi bulbi oculari si gonfiano, roteando nelle orbite, la bocca si spalanca, la lingua si storce verso l’alto e il volto assume una colorazione rossastra. Fissando uno specchio d’acciaio, il pawo risponde alle domande che gli vengono rivolte dal Dalai Lama, pronunciando parole per lo più incomprensibili, che vengono prontamente tradotte e interpretate da un gruppo di eruditi. Al termine della divinazione, l’oracolo esce dalla trance, dopodiché perde i sensi e viene portato via. Lo stato di trance viene indotto dalla japa[29], dal suono monotono e ripetitivo prodotto dai tamburi rituali e dai vapori di alcol (Figura 4B). Nel monastero di Nechung, infatti, a differenza di altri complessi monastici, i monaci riempiono continuamente diversi contenitori con alcol etilico. L’etanolo è inebriante e contribuisce ad indurre i monaci in uno stato di trance; inoltre, è un agente vasodilatante, perciò determina un incremento dell’afflusso di sangue a varie parti del corpo, tra cui il volto. È presumibile che l’arrossamento del viso, osservato nell’oracolo di Nechung in stato di trance, sia causato da un effetto sinergico prodotto dall’inalazione dei vapori di alcol etilico e dall’attivazione dell’S.N.A. (Sistema Nervoso Autonomo). Tornando alla “nostra” sciamana, nel suo caso, la japa assume la forma di un canto, che ha la stessa valenza mistica e lo stesso effetto tranceogeno della ripetizione di un mantra[30]. Durante il rituale, B.D. si interruppe alcune volte, scuotendo il corpo e tossendo, così forte da dare l’impressione di stare per rimettere. Dopo un po’ ci riferì di avere avuto una visione di un cavaliere a cavallo, al che uno dei partecipanti intervenne dicendo che sua zia, che andava a cavallo, era venuta a mancare recentemente. Dopo che B.D. “richiamò” anche i nostri spiriti protettori, la sua interprete passò da ognuno di noi per darci una piccola offerta alimentare. Ricordo che io presi un cioccolatino. La “nostra” sciamana disse di non potere aiutare tutti, perché eravamo troppi, tuttavia, avrebbe potuto rimuovere parte delle nostre “negatività”. Ricordate la candela accesa sul tavolino? Durante il rituale essa, come si dice in gergo, “fioriva”, cioè la sua fiamma ardeva vivacemente. Quando ciò accade, si crede che si sia creata una buona atmosfera, fatto piuttosto raro in presenza di tante persone (il secondo giorno eravamo in diciannove, a parte la sciamana). Si crede anche che nella fiamma di una candela che arde vi siano uno o più spiriti. Ad un certo punto, B.D. si indispettì un po’ (mostrò una lieve rabbia, denotata da un significativo aumento del volume, del tono e del ritmo della voce), perché i partecipanti le rivolgevano domande riguardanti i propri familiari, a cui non poteva rispondere a causa del loro eccessivo numero. Ci disse che avrebbe potuto rispondere soltanto a domande che riguardavano direttamente i presenti. B.D. aveva anche un mala (il rosario induista con 108 grani usato anche nel buddhismo), che utilizzò come un pendolino radioestesico[31] per rispondere ad alcune domande. È importante precisare che la trance sciamanica era discontinua. B.D. uscì dalla trance diverse volte, per rientrarvi subito dopo. Ad un certo punto, disse di avere nuovamente voglia di piangere, fatto che, come si è detto, interpretava come un segno della presenza di qualcuno, tra i partecipanti, che sentiva il forte impulso di piangere ma che si tratteneva dal farlo. Nel corso del rituale, notai che B.D. rivolgeva spesso lo sguardo verso la candela posta sul tavolino, probabilmente per interpretare i movimenti della fiamma. Non dobbiamo scordarci, infatti, che anche la fiamma di una candela accesa ha il suo spirito-padrone! Al termine della “seduta”, gli spiriti evocati furono lasciati liberi di tornare da dove erano venuti. B.D. percosse nuovamente il tamburo e riprese a cantare, sempre con voce forte e squillante, dopodiché uscì dalla stanza continuando a suonare il tamburo e a cantare, per rientrarvi poco dopo. Il rituale si concluse con una curiosa cerimonia di “purificazione”. B.D. chiese ad ognuno di noi di mettersi in ginocchio sul pavimento con le mani giunte e il busto e il volto rivolti verso il tavolino su cui erano state poste le offerte per gli spiriti, dopodiché ci colpì vigorosamente sulla schiena alcune volte con il bardak!
Tutti noi abbiamo vissuto un’esperienza intensa, estremamente interessante ed istruttiva e non solo dal punto di vista antropologico. Per me è stato anche un degno completamento del viaggio compiuto in Mongolia nel 2018, di cui magari scriverò in un prossimo articolo, viaggio nel corso del quale non ebbi purtroppo modo di approfondire come avrei voluto lo sciamanesimo di questo bellissimo e misterioso paese, né di incontrare un autentico sciamano. Lo sciamanesimo mongolo presenta non pochi elementi in comune con quello della Siberia nord-orientale, con lo sciamanesimo Bön e con quello dell’area himalayana, facendo pensare ad un’origine comune o, più probabilmente, a influenze reciproche avvenute nella notte dei tempi. Se ancora oggi, nel terzo millennio, possiamo studiare e sperimentare realtà lontane nello spazio e nel tempo, come lo sciamanesimo mongolo, lo dobbiamo anche e soprattutto a persone come B.D., che portano avanti con dedizione e orgoglio le antichissime tradizioni del proprio paese e sono disposte a divulgarle e a diffonderle al di fuori della ristrettissima cerchia di chi le pratica, anche oltre i confini nazionali, fin nel lontano Occidente. Torneremo sullo sciamanesimo asiatico, perché è un “mondo” vastissimo, ricco di sfaccettature e peculiarità che non mancheranno di affascinare e interessare i lettori più affezionati e curiosi di questa (ancora) piccola rubrica. Bair te[32] e bair laa[33]!
Bibliografia.
- “Nuova Enciclopedia Universale Curcio – delle lettere, delle scienze, delle arti”. Armando Curcio Editore, 1968.
- “Mongolia – L’ultimo paradiso dei nomadi guerrieri”, di Federico Pistone e Dulamdorj Tserendulam. Seconda edizione 2010. Seconda ristampa 2017. Casa Editrice POLARIS.
- “Paranormale – Dizionario Enciclopedico”. Arnoldo Mondadori Editore, 1992.
- “Dal simbolismo esoterico della farfalla allo yoga, passando attraverso la mitologia norrena e la tarologia” (Prima parte), di Patrizio Caini. In progress.
- “Dal simbolismo esoterico della farfalla allo yoga, passando attraverso la mitologia norrena e la tarologia” (Seconda parte), di Patrizio Caini. In progress.
Sitografia.
- https://www.focus.it/ambiente/animali/quel-senso-degli-animali-per-la-morte
- https://it.wikipedia.org/wiki/Sciamanesimo#:~:text=Sciamanesimo%20(o%20sciamanismo)%20indica%2C,religioso%C2%BB%3B%20Ugo%20Marazzi%3A%20%C2%AB
- https://www.studisciamanici.it/index.php/che-cos-e-lo-sciamanesimo.html?jjj=1617552088270
- https://www.starbene.it/approfondimenti/medicina-tradizionale-cinese/intervento-terapeutico-1148/l-origine-delle-malattie-1150
- https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/argomenti-speciali/medicina-integrativa-complementare-e-alternativa/medicina-tradizionale-cinese
- https://it.wikipedia.org/wiki/Huangdi_Neijing
- https://it.wikipedia.org/wiki/Huang_Di
[1] La zoologia è la branca della biologia che si occupa dello studio degli animali.
[2] L’etologia è la branca della zoologia che si occupa dello studio specifico del comportamento degli animali.
[3] Vasta area etno-geografica che comprende le regioni settentrionali della Norvegia, della Svezia, della Finlandia e della penisola di Kola, in Russia.
[4] Il termine “sciamano” deriva dal russo “šaman”, a sua volta derivato dal tunguso “šamān” (“colui che conosce”). L’origine etimologica di questa parola, tuttavia, va ricercata nel sanscrito in quanto il termine tunguso “šamān” è, molto probabilmente, un adattamento del termine sanscrito “śrāmaṇa” o “śrāmaṇera”.
[5] Conosciuto anche con il suo nome mortale, Gongsun Xuanyuan, è il dio-antenato che la tradizione riconosce come il fondatore della civiltà cinese e l’antenato dei Cinesi Han. È uno dei Cinque Imperatori, che, sempre secondo la tradizione, regnò tra il 2697 e il 2597 a.C. Maestro nelle arti esoteriche, è anche considerato lo sviluppatore della medicina cinese.
[6] Ulaanbaatar è la capitale della Mongolia. Il suo nome deriva da Ulan Bator (“Eroe Rosso”), il soprannome del generale Sukhbaatar, che liberò il paese dal dominio cinese. Fondata nel 1939, UB, come viene chiamata per semplicità dai turisti e, ultimamente, anche dagli stessi mongoli, conta circa 1500000 abitanti, come Milano, distribuiti su una superficie di 4800 km2, con una densità di popolazione di 312 abitanti per km2.
[7] Termine cinese, composto dalle parole “wǔ” (“spedizione militare”, “guerra”) e “shù” (“arte”, “metodo”, “tecnica”), con cui in Cina vengono designate, nel complesso, le arti marziali cinesi.
[8] La lingua mongola appartiene al ceppo altaico, che comprende anche il turco, il tunguso, il coreano e il giapponese.
[9] N.d.R.: non escluderei, però, la possibilità che il suo sviluppo sia stato influenzato da altre forme di sciamanesimo “vicine”, come lo sciamanismo della Siberia settentrionale e orientale, quello tibetano e quello dell’area himalayana, data la presenza di numerosi elementi in comune con tali forme.
[10] In Occidente questa peculiare condizione viene identificata dalla parapsicologia con il fenomeno dei fantasmi, dal verbo “pháinein”, che in greco significa “mostrare”, da cui ha origine il sostantivo “phántasma -tos”.
[11] Questa credenza la si ritrova pressoché invariata anche nell’induismo e nel buddhismo, dove è strettamente legata ai concetti di karma (termine sanscrito traducibile come “atto”, “azione”) e saṃsāra (termine sanscrito che significa letteralmente “scorrere insieme”). Il karma o karman è l’insieme delle azioni, sia buone sia cattive, compiute durante la vita terrena e delle loro conseguenze, che determinano il saṃsāra, il ciclo di morte e rinascita.
[12] Figlio di Gombodorji (1594 – 1655), un diretto discendente di Gengis Khān, Zanabazar, oltre ad essere stato un illustre monaco e un grande maestro, si occupò anche di letteratura, linguistica e scultura. Nel campo della linguistica, sviluppò un alfabeto, chiamato Soyombo, con cui tradusse in mongolo i testi sacri tibetani e sanscriti. Nel campo della scultura, invece, realizzò numerose statuette in oro e bronzo, estremamente raffinate, raffiguranti vari personaggi della mitologia religiosa del Buddhismo Tibetano o Vajrayāna (“Veicolo del Diamante”), derivato dal Buddhismo Mahāyāna (“Grande Veicolo”).
[13] Con il termine “lama” si indica il titolo conferito ai monaci del Buddhismo Tibetano, noto anche come lamaismo, dopo avere trascorso in solitudine tre anni, tre mesi e tre giorni in un luogo solitario, oppure ai tāntrika, i praticanti di tantra, di elevato livello; chi consegue questo titolo diventa un maestro e può trasmettere ciò che ha appreso ad altri.
[14] Celebre lama della Scuola Jonang del Vajrayāna.
[15] I rametti di timo vengono seccati e poi tritati per ridurli in polvere.
[16] Alcuni parapsicologi ipotizzano ma è soltanto una mera speculazione, che gli angoli di una stanza siano punti “energetici”, in cui è più probabile registrare un qualche tipo di “attività paranormale”, come, ad esempio, l’apparizione di un fantasma (fenomeno apparizionale spontaneo).
[17] È facile, in questo caso, ravvisare un parallelismo tra lo sciamano e il medium a incorporazione, che, secondo la parapsicologia spiritistica o spiritualista (branca della parapsicologia fortemente orientata verso lo spiritismo), dopo essere entrato in trance, viene “posseduto” dallo spirito di un defunto con cui sarebbe entrato in contatto, parlando addirittura con la sua voce!
[18] La xenoglossia, cioè la capacità di “parlare” lingue antiche, per lo più “morte”, senza averle mai studiate né sentite, è un fenomeno molto interessante, riscontrato anche nei mistici cristiani e nei presunti indemoniati. In realtà, le volte in cui è stato possibile registrare ciò che i soggetti in trance dicevano, indipendentemente dal contesto culturale, e farlo tradurre da linguisti qualificati, è emerso che non si trattava di frasi di senso compiuto, bensì di una serie di parole sconnesse pronunciate una di seguito all’altra. Il fenomeno, ben documentato, rimane comunque affascinante, in quanto non è ancora chiaro come una persona, che non ha mai studiato né tantomeno sentito una data lingua, possa improvvisamente pronunciare diverse parole, sia pure sconnesse, in un antico idioma ormai quasi estinto, come l’aramaico, la lingua di Gesù, o il greco antico. Per spiegare questo curioso fenomeno, alcuni studiosi hanno chiamato in causa la metempsicosi, termine con cui in parapsicologia viene indicata la reincarnazione, ipotizzando che gli episodi di xenoglossia non siano altro che estemporanee reminiscenze di una vita passata. Tale ipotesi è ovviamente destituita di ogni fondamento scientifico, perché prima occorrerebbe dimostrare la realtà della reincarnazione e ciò non è ancora avvenuto. Ritengo che, per la quasi totalità dei casi studiati, l’ipotesi scientificamente più plausibile sia quella secondo cui la xenoglossia sia riconducibile ad un fenomeno, ancora poco compreso, noto come criptomnesia (“ricordi nascosti”), per cui, in seguito a stimoli esterni (ambientali) e/o interni (trance), il ricordo di una o più parole di una lingua “morta”, magari lette su un libro o sentite alla televisione, anche solo una volta e molto tempo prima e poi dimenticate, riaffiora improvvisamente.
[19] In questa mansione si ravvisa un altro interessante parallelismo tra lo sciamano e il sensitivo occidentale. Non è infrequente che i parapsicologi si rivolgano ad un sensitivo per effettuare un sondaggio psichico, al fine di stabilire se un dato luogo, come una cripta, un sotterraneo o la stanza di un castello, sia “infestato” da presunte “presenze” incorporee o presenti “attività paranormale”. Se il sensitivo, grazie alle sue ipotetiche capacità paranormali, individua un luogo che ritiene “infestato” o “attivo”, e, in genere, ciò accade, i parapsicologi lo monitorano strumentalmente, ad esempio misurando la temperatura, l’umidità relativa e la luminosità, per rilevare eventuali anomalie ambientali.
[20] Il numero 9 è caratterizzato da una forte valenza simbolica in quanto è il risultato della moltiplicazione di 3 per se stesso ed il 3 è il numero magico-esoterico, mistico-filosofico e religioso per eccellenza; si pensi, ad esempio, alla SS Trinità cristiana (Padre, Figlio e Spirito Santo), alla Trimurti del pantheon mitologico-religioso induista post-vedico (Brahmā, Vishnu e Shiva), ai tre livelli dell’universo secondo la cosmogonia indù, alla suddivisione cattolico-dantesca dell’Aldilà in Inferno, Purgatorio e Paradiso e ai tre Re Magi dei Vangeli (Baldassarre, Melchiorre e Gaspare), che portano in dono a Gesù bambino oro, che rappresenta il potere regale, incenso, simbolo del potere sacerdotale, e mirra, il balsamo dell’incorruttibilità, analogo alla bevanda d’immortalità che ricorre in tutte le tradizioni antiche, come il Soma vedico, l’Amrita induista, l’Haoma mazdeo e l’Ambrosia greca. Il 9 è un numero molto particolare anche dal punto di vista matematico, infatti, se si moltiplica un qualsiasi numero per 9, si ottiene un numero formato da cifre che, sommate tra loro, danno sempre 9 o, in alternativa, un altro numero le cui cifre, sommate tra loro, restituiscono sempre lo stesso valore: 9!!! Incredibile? Facciamo tre prove per sincerarcene: 234 x 9 = 2106 e 2 + 1 + 0 + 6 = 9; 126734 x 9 = 1140606 e 1 + 1 + 4 + 0 + 6 + 0 + 6 = 18 e 1 + 8 = 9; 23476891 x 9 = 211292019 e 2 + 1 + 1 + 2 + 9 + 2 + 0 + 1 + 9 = 27 e 2 + 7 = 9!!! Stupefacente, no?!
[21] In parapsicologia questa presunta facoltà psichica è chiamata precognizione, ossia la capacità di visualizzare mentalmente eventi che devono ancora verificarsi. Assieme alla retrocognizione (presunta capacità di visualizzare mentalmente eventi che si sono verificati in passato), alla chiaroveggenza o, come si preferisce chiamarla ora, Remote Viewing (R.V.) (presunta capacità di visualizzare mentalmente eventi che si verificano nel presente e luoghi e oggetti distanti) e alla psicometria (presunta capacità di visualizzare mentalmente eventi del passato, luoghi e persone, strettamente legati ad un oggetto, semplicemente tenendolo in mano o anche soltanto toccandolo), appartiene alla categoria di facoltà paranormali o presunte tali, nota come E.S.P. (Extra-Sensorial Perceptions: Percezioni Extra-Sensoriali).
[22] Strumento musicale idiofono (strumento musicale in cui il suono è emesso facendo vibrare lo strumento stesso, anziché una corda, come nel violino, una membrana tesa, come nel tamburo, o l’aria, come nel flauto) a pizzico, il cui corpo è costituito da una barretta, in genere metallica, ripiegata su se stessa a ferro di cavallo. Lo spazio tra le due anse è attraversato longitudinalmente da una sottile lamina, anch’essa, in genere, metallica, ancorata ad una estremità al corpo dello strumento e libera all’estremità opposta. È uno degli strumenti musicali più antichi che si conosca; noto fin dai tempi degli antichi Romani, era ed è diffuso sia in Europa sia in Oriente, come in India e in Cina. Non è sorprendente vederlo suonare da una sciamana mongola, in quanto esso viene utilizzato anche in Tibet e in Siberia, le cui regioni orientali, come la Repubblica di Buriazia, nota anche come la Mongolia Russa, confinano a sud proprio con la Mongolia.
[23] In molte tradizioni gli sciamani, così come i monaci buddhisti tibetani, utilizzano strumenti musicali, come il tamburo, che producono suoni ritmici e ripetitivi. Si è osservato che tali suoni concorrono ad indurre uno stato di coscienza modificata, come, ad esempio, la trance sciamanica.
[24] Chiamata anche wodka, è un superalcolico originario della Russia e della Polonia, consistente in un distillato in cui l’alcol etilico o etanolo (CH3CH2OH) è presente in una percentuale compresa tra il 37.5% e il 60%. La classica vodka russa ha una gradazione alcolica di circa 40°. La vodka si ricava distillando varie piante ricche di zucchero, cioè di saccarosio (disaccaride formato da una molecola di glucosio unita, tramite un legame covalente, ad una molecola di fruttosio) o amido (polisaccaride con funzione di riserva energetica, formato da lunghe catene lineari costituite da molte molecole di glucosio unite tra loro tramite legami covalenti), come cereali (grano, segale e orzo) e patate.
[25] L’etanolo è una sostanza (per la precisione, un composto chimico organico) inebriante e può contribuire ad indurre un individuo naturalmente predisposto in uno stato di trance. Non ho potuto leggere sull’etichetta della bottiglia di vodka utilizzata dalla “nostra” sciamana la gradazione alcolica ma suppongo fosse piuttosto alta, dal momento che questo distillato contiene almeno il 37.5% di alcol etilico in volume.
[26] Viene chiamato così chi, in Tibet e in alcune remote regioni dell’area himalayana, pratica lo sciamanesimo del Bön primitivo, la forma più antica ed arcaica del Bön, la misteriosa religione sciamanica e animista pre-buddhista diffusasi soprattutto in Tibet, in Bhutan e in Nepal.
[27] Si ritiene che Pehar sia una divinità di origini turche!!!
[28] Seguace della Scuola Gelug del Vajrayāna. Nel Buddhismo Tibetano vi sono sei scuole principali: Nyingma, fondata da Padmasambhava o Guru Rinpoche, Sakya, fondata da Virupa, Kagyu, fondata da Milarepa, discepolo di Marpa, Jonang, fondata da Yumo Mikyo Dorje, Gelug, fondata da Tsongkhapa e Bön, fondata dal semi-leggendario Tonpa Shenrab Miwoche.
[29] La japa è la ripetizione rituale di un mantra, eseguita, in genere, con l’ausilio di un akṣamālā, un rosario con 108 grani (108 è il numero sacro e mistico per eccellenza nell’induismo e nel buddhismo). La japa può essere accompagnata, come nel tantrismo, dai mudrā, gesti simbolici compiuti con una o due mani, e da pratiche di visualizzazione.
[30] Il mantra è una parola o una sequenza di parole, come un verso dei Veda (raccolta di testi sacri redatti dagli Arii, una popolazione nomade guerriera proveniente dalla regione di Balkh, nell’odierna Afghanistan settentrionale, che nel 2200 a.C. circa invase l’India settentrionale), una formula sacra rivolta ad un Deva (nella mitologia religiosa induista vi sono due stirpi divine contrapposte: gli dei protettori Deva e i demoni Asura), una formula magica, una formula meditativa, una preghiera o un inno sacro. Un mantra può essere recitato, rigorosamente in sanscrito, ad alta voce, a voce bassa o mentalmente, durante la meditazione ma sempre con la giusta pronuncia e intonazione, altrimenti non produce l’effetto desiderato. L’enunciazione di un mantra è detta uccāra. Durante l’uccāra è di fondamentale importanza il controllo della respirazione, esercitato con tecniche ben precise. I mantra sono parole di potere, in quanto si ritiene che il suono emesso recitandoli, in quanto vibrazione e, quindi, energia, possa interagire con la materia, agendo fisicamente sull’ambiente circostante e sul corpo stesso, dove produrrebbe effetti biochimici e fisiologici benefici.
[31] La radioestesia è ritenuta dai parapsicologi una particolare forma di chiaroveggenza. I radioestesisti percepirebbero la presenza di vari materiali (acqua, petrolio e metalli), oggetti e persino cadaveri (!), attraverso le vibrazioni e i movimenti di una particolare bacchetta, detta bacchetta divinatoria, o attraverso i movimenti oscillatori e rotatori di un piccolo pendolo. Se lo strumento utilizzato dai radioestesisti è una bacchetta, il fenomeno prende il nome di rabdomanzia. Il pendolino radioestesico, chiamato anche pendolo magico, consiste in un piccolo “peso” legato ad un filo. Sovente il “peso” è vuoto all’interno e può contenere il cosiddetto “testimone”, cioè un piccolo frammento dell’oggetto cercato o un piccolo campione di un dato materiale. Il pendolino viene tenuto con le dita, ad esempio sopra la fotografia di una persona scomparsa, e dal modo in cui oscilla e ruota, il radioestesista desumerebbe lo stato di salute della persona, se è viva, sofferente, malata o addirittura morta. Se, invece, il pendolino viene tenuto sopra la fotografia di un paesaggio o sopra una carta topografica, indicherebbe se e dove sono presenti oggetti persi, falde acquifere e giacimenti minerari o di petrolio. Sul ventre di una donna in stato interessante rivelerebbe il sesso del feto mentre sul corpo di una persona malata, la patologia di cui soffre, indicando persino i farmaci più idonei per curarla. Infine, utilizzato in uno spazio aperto o in un ambiente chiuso, il pendolino guiderebbe i radioestesisti dove si trova un oggetto perso o nascosto, localizzandolo con precisione. Senza entrare nel merito dell’effettiva esistenza delle capacità extra-sensoriali dei radioestesisti (gran parte dei quali è assolutamente in buona fede), la cui trattazione richiederebbe un articolo a sé, si può tranquillamente affermare che alla base di questo fenomeno vi sia il cosiddetto effetto ideomotorio, consistente in impercettibili movimenti delle dita, dell’intera mano o di entrambe le mani, dovuti a micro-contrazioni muscolari involontarie e inconsapevoli a loro volta provocate dall’aspettativa che il pendolino si muova in un dato modo e in una data direzione. In altre parole, l’aspettativa che il pendolino si muova ruotando, ad esempio, in senso antiorario, causerà, senza alcuna intenzione volontaria e del tutto inconsapevolmente, micro-contrazioni muscolari che determineranno impercettibili movimenti delle dita o della mano, che, a loro volta, imprimeranno al pendolino il movimento atteso, cioè una rotazione in senso antiorario! Ciò che sorprende maggiormente in questi casi è che i radioestesisti non solo non si rendono minimamente conto di muovere involontariamente il pendolino o la bacchetta ma, in genere, non ammettono neppure di essere i diretti responsabili del loro stesso movimento, neanche quando vengono messi di fronte all’evidenza dei fatti. Questo tipico atteggiamento di rifiuto è dovuto al fatto che i radioestesisti non sono assolutamente consapevoli di muovere il pendolino o la bacchetta, perciò non riescono a credere di poterlo fare, nonostante tutte le prove siano contro di loro. Il primo a scoprire l’effetto ideomotorio e a identificarlo come causa della radioestesia nella prima metà del XIX secolo, fu il celebre chimico francese inventore della margarina e pioniere della gerontologia (studio degli aspetti biologici, psicologici e sociali del processo fisiologico dell’invecchiamento), Michel Eugène Chevreul (Angers, 31 agosto 1786 – Parigi, 9 aprile 1889).
[32] “Arrivederci”, in mongolo.
[33] “Grazie”, in mongolo.
[1] Questo bel proverbio sottolinea l’autonomia, l’indipendenza e la fierezza dei mongoli, un popolo guerriero straordinariamente resiliente.