NATURA MOLTEPLICE DELLA PERSONALITÀ’:
QUANDO NE PARLANO GLI SCRITTORI
Gli scrittori e non solo i saggisti ma anche, in particolare, i romanzieri si sono rivelati spesso profondi conoscitori dell’animo umano. Nei romanzi troviamo talvolta splendide descrizioni delle dinamiche psicologiche riportate in modo acuto, incisivo, empatico.
Il concetto di “subpersonalità” – così importante per la conoscenza e trasformazione della nostra psiche ed in particolare della nostra personalità – è stato rappresentato in modo efficace in alcuni romanzi e in alcuni saggi di argomento non psicologico; eccone alcuni esempi:
Regnavano in me di volta in volta personaggi diversi, nessuno dei quali molto a lungo; ma presto quello esautorato riconquistava il potere: l’ufficiale meticoloso, fanatico della disciplina, pronto a dividere con gioia le privazioni della guerra con i suoi uomini; il malinconico sognatore di dei, l’amante pronto a tutto per un istante d’ebbrezza; il giovane luogotenente altero che si ritira sotto la tenda, studia le sue carte alla luce d’un lume, e non fa mistero ai suoi amici del suo disprezzo per come va il mondo; finanche il futuro statista. Ma non dimentichiamo neppure il cortigiano ignobile, che per non dispiacere, accetta di ubriacarsi alla tavola imperiale; il giovincello che sentenzia dall’alto su ogni questione con sicumera ridicola; il parlatore frivolo, capace di perdere un amico per una battuta; il soldato, che compie con precisione meccanica i suoi bassi compiti da gladiatore. E ricordiamo pure quel personaggio vacuo, senza nome, senza posto nella storia, ma che è me stesso quanto tutti gli altri, semplice zimbello delle cose, null’altro che un corpo, disteso nel letto da campo, distratto da un profumo, preoccupato d’un soffio, vagamente attento al ronzio incessante di un’ape.
Poco a poco entrava in funzione un nuovo venuto, un direttore di compagnia, un regista. Conoscevo i nomi dei miei attori; regolavo loro entrate e uscite plausibili; tagliavo le risposte inutili; evitavo con cura gli effetti volgari. Imparavo, infine, a non abusare del monologo. Poco a poco le mie azioni mi formavano.
Margherite Yourcenar
Tratto da: “Le memorie di Adriano”
– Vedi, Eremita sottolinea anche un’altra cosa. Dice che i manoscritti di entrambi gli uomini, che lui chiama A e B, possono essere visti come l’opera di un solo uomo. Ammette che è astorico, improbabile e irragionevole, eppure è ciò che propone: aut aut, un dialogo interiore, o con un doppio, due voci in una, il Seduttore e il Moralista uniti. A parte il disvelamento ironico – di mezzo c’è anche K. – è vero, mi pare, che cerchiamo sempre una sola persona quando ce n’è più d’una, varie voci che si contrappongono in un unico corpo. Il tempo fa la sua parte. Abbiamo diversi sé nel corso di una vita, ma anche in contemporanea. Max era parecchie persone. Aveva centinaia di maschere – tutti i suoi personaggi – e in più cambiava di giorno in giorno -.
Siri Hustvedt
Tratto da: “Elegia per un americano”
Ed. Einaudi, Torino 2009
L’animo umano è esso stesso nel contempo uno e molteplice. Abbiamo detto che ogni essere umano, come punto di un ologramma, porta in sé il cosmo. Ogni essere, anche il più chiuso nella più banale delle vite, costituisce in se stesso un cosmo. Porta in sè le proprie molteplicità interiori, le proprie personalità virtuali, un’infinità di personaggi chimerici, una poliesistenza nel reale e nell’immaginario, nel sonno e nella veglia, nell’obbedienza e nella trasgressione, nell’ostentato e nel segreto; porta in sé brulichii larvali in caverne e in abissi insondabili. Ciascuno contiene in sé galassie di sogni e di fantasmi, slanci inappagati di desideri e di amori, abissi di infelicità, immensità di glaciale indifferenza, conflagrazioni di astri in fiamme, irruzioni di odio, smarrimenti stupidi, lampi di lucidità, burrasche dementi …
Edgar Morin
Tratto da: La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero.
Ed. R. Cortina, Milano 2000
L’uomo deve imparare ad essere consapevolmente molti uomini e a tenerli tutti insieme […]A quel punto anziché gli altri, dovrà governare le sue proprie personalità; queste avranno nome, egli le conoscerà, potrà comandarle. E la sua avidità di dominio non vorrà più agire sugli estranei […] dal momento che ciascuno di noi potrà essere tanti quanti gli riesce di soggiogare.
Elias Canetti
Tratto da: Il testimone auricolare. Cinquanta caratteri.
Ed. Adelphi, 1995
“Mi contraddico? Ebbene sì, mi contraddico. Sono spazioso, contengo moltitudini.”
Walt Whitman
Tratto da: Canto di me stesso in Foglie d’erba
“Una parte del nostro cervello si occupa della memoria, un’altra delle decisioni morali ed etiche. È quasi come se il cervello avesse molteplici personalità – alcune razionali, altre irrazionali; alcune riflessive, altre impulsive. Non c’è quindi da meravigliarsi che ciascuno di noi possa sembrare una persona diversa a seconda della situazione!”
Daniel J Siegel e Tina Pyne Bryson
Tratto da “12 strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo mentale del bambino”
Il dottor Cardoso chiamò la cameriera e ordinò due macedonie di frutta senza zucchero e senza gelato.
Voglio farle una domanda, disse il dottor Cardoso, lei conosce i médecins-philosophes?
No, ammise Pereira, non li conosco, chi sono?
I principali sono Théodule Ribot e Pierre Janet, disse il dottor Cardoso, è sui loro testi che ho studiato a Parigi, sono medici e psicologi, ma anche filosofi, sostengono una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime.
Mi racconti questa teoria, disse Pereira.
Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere ‘uno’ che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un’illusione, peraltro ingenua, di un’unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perchè noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone. Il dottor Cardoso fece una piccola pausa e poi continuò: quella che viene chiamata la norma, o il nostro essere, o la normalità, è solo un risultato, non una premessa, e dipende dal controllo di un io egemone che si è imposto sulla confederazione delle nostre anime; nel caso che sorga un altro io, più forte e più potente, codesto io spodesta l’io egemone e ne prende il posto, passando a dirigere la coorte delle anime, meglio la confederazione, e la preminenza si mantiene fino a quando non viene spodestato a sua volta da un altro io egemone, per un attacco diretto o per una paziente erosione.
Forse, concluse il dottor Cardoso, dopo una paziente erosione c’è un io egemone che sta prendendo la testa della confederazione delle sue anime, dottor Pereira, e lei non può farci nulla, può solo eventualmente assecondarlo.
Il dottor Cardoso finì di mangiare la sua macedonia e si asciugò la bocca con il tovagliolo.
E dunque cosa mi resterebbe da fare?, chiese Pereira.
Nulla, rispose il dottor Cardoso, semplicemente aspettare, forse c’è un io egemone che in lei, dopo una lenta erosione, dopo tutti questi anni passati nel giornalismo a fare la cronaca nera credendo che la letteratura fosse la cosa più importante del mondo, forse c’è un io egemone che sta prendendo la guida della confederazione delle sue anime, lei lo lasci venire alla superficie, tanto non può fare diversamente, non ci riuscirebbe e entrerebbe in conflitto con se stesso, e se vuole pentirsi della sua vita si penta pure, e anche se ha voglia di raccontarlo a un sacerdote glielo racconti, insomma, dottor Pereira, se lei comincia a pensare che quei ragazzi hanno ragione e che la sua vita finora è stata inutile, lo pensi pure, forse da ora in avanti la sua vita non le sembrerà più inutile, si lasci guidare dal suo nuovo io egemone e non compensi il suo tormento con il cibo e con le limonate piene di zucchero.
Antonio Tabucchi
Tratto da: Sostiene Pereira
Ginkgo biloba
La foglia di quest’albero d’Oriente
affidato al mio giardino
Delizia il sapiente
coi suoi significati nascosti
E’ un essere unico
diviso al suo interno?
O sono due che hanno scelto di unirsi
così da sembrare uno?
Cercando la risposta
ho trovato un sentore di verità
Non senti nei miei canti
che io sono uno eppure doppio?
Johann Wolfgang Goethe
A quella vista, Orlando respirò sollevata, accese una sigaretta, e per un paio di minuti mandò buffate in silenzio. Poi, esitante, come se la persona che nominava potesse trovarsi assente, chiamo: “Orlando?”. Perché se ci sono, mettiamo, settantasei ritmi diversi che battono all’unisono nello spirito umano, quante diverse persone – Dio ci aiuti – non albergano in un momento o nell’altro nello spirito umano? Duemila e cinquantadue, dicono alcuni. Una volta che è così, è la cosa più naturale del mondo che una persona, non appena si trova sola, chiami “Orlando?” (se si chiama così) e, con ciò, intende “Andiamo, su! Sono arcistufa del mio io presente. Ne voglio un altro”. Donde gli stupefacenti cambiamenti che osserviamo nei nostri amici. Ma non sempre la va liscia; può darsi che uno come Orlando (che si trova in aperta campagna e senza dubbio aveva necessità di un altro io) dica “Orlando?”, ma che l’Orlando invocata non si presenti affatto; quegli io di cui siamo composti e che sono sovrapposti gli uni agli altri come una pila di piatti in mano ad un cameriere, hanno il loro legame altrove, le loro simpatie, le loro piccole leggi e i loro diritti, chiamateli come volete (e spesso, si tratta di cose che non hanno nome), cosicché l’uno verrà soltanto se piove, l’altro se ci sarà Jones, un altro se gli promettete di fargli trovare un bicchiere di vino e così via; ognuno potrà moltiplicare secondo la propria esperienza i diversi compromessi che i suoi differenti io hanno fatto con lui; e alcuni, d’altronde, sono troppo esageratamente ridicoli per poter far loro l’onore di eternarli in carta stampata.
Alla curva della strada presso la capanna, Orlando aveva dunque chiamato “Orlando?” con un tono interrogativo nella voce, e attese. Orando non venne.
“Va bene, allora” disse, col buon umore che la gente dimostra in questi momenti; e si rivolse a un altro io. Ne aveva una grande varietà cui rivolgersi, assai più di quanti non abbiamo avuto spazio per ricordarcene tra queste pagine; del resto, una biografia è considerata completa quando si limita a rendere conto di sei o sette io, mentre una persona può averne a migliaia. Limitandosi a scegliere fra gli io che qui hanno trovato posto, Orlando avrebbe potuto chiamare il giovinetto che prendeva a piattonate la testa del Moro; o quello che la riappendeva al soffitto; o il giovinetto seduto sulla collina; o quello che aveva veduto il poeta; o quello che aveva offerto la coppa d’acqua di rose alla Regina; avrebbe potuto invocare il giovane che s’era innamorato di Sascia; o il Cortigiano; o l’Ambasciatore; o il Guerriero; o il Viaggiatore; o avrebbe potuto invitare la donna; la Zingara; la Gran Dama; la fanciulla innamorata della vita; la Patrona delle Belle Lettere; la donna che chiamava Mar (e intendeva bagni caldi e fuochi vespertini) o Shelmerdine (che voleva dir fiori di croco nei boschi autunnali) o Bonthorp (significando nostra Suora Morte Quotidiana) o tutti e tre in uno – e significherebbe più cose di quanto non abbiamo spazio per scrivere – tutti io, insomma, diversi e che Orlando avrebbe potuto ugualmente chiamare.
Forse; ma quello che appare certo (ci troviamo ora nella regione dei “forse” e degli “appare”) è che quell’Io di cui più aveva bisogno rimaneva lontano, poiché, a sentirla parlare, mutava d’io con la rapidità stessa della sua corsa – ce n’era uno nuovo ogni curva – come accade talora per ragioni inesplicabili, quando l’io cosciente che si trova al sommo, e ha il potere di desiderare, non desidera essere che un io solo. E’ quello che certuni chiamano “il vero io”, ed è, dicono, la somma di tutti gli io che abbiamo in noi; comandati e ben guardati dal nostro Comandante Io, dall’Io Chiave, il quale li amalgama e li sorveglia tutti.
Virginia Woolf
Tratto da: Orlando