Natura “molteplice” della personalità e subpersonalità primarie
di Andrea Bonacchi
La personalità è molteplice: le subpersonalità
La nostra personalità è costituita dall’insieme di caratteristiche psicologiche, comportamentali e relazionali, che ci rendono riconoscibili e ci distinguono dagli altri. La parola “personalità” deriva dal termine latino “persona(m)” con cui si indicava la maschera che nel teatro classico dell’antichità greca e poi romana gli attori portavano sul volto; le diverse maschere utilizzate erano tipiche di ciascun personaggio rappresentato e individuandone in modo fisso e costante le caratteristiche lo rendevano riconoscibile. La personalità di ciascuno di noi condiziona profondamente la nostra vita e pertanto si tratta di un argomento molto studiato dalla psicologia.
Dei tanti aspetti interessanti del concetto e dell’esperienza della personalità desidero qui soffermarmi su uno in particolare: la natura molteplice – cioè articolata in varie parti – della personalità. Si tratta di qualcosa di cui spesso non ci curiamo e di cui molte volte nemmeno ci accorgiamo; ma è un aspetto dalle ricadute pratiche molto vaste e di grande importanza per il nostro benessere.
Passiamo la maggior parte del tempo della nostra vita lavorando, studiando, prendendoci cura di coloro che amiamo, cercando di procurarci esperienze di benessere e rifuggendo da ciò che ci fa soffrire e ci fa paura. Siamo così impegnati e presi dalla nostra vita con tutti i suoi impegni e accadimenti che la maggior parte di noi non si accorgono che la nostra personalità non è unitaria e monolitica, come possiamo erroneamente intuire, ma è costituita da una molteplicità di parti; essa è composta da un insieme di veri e propri “personaggi”.
Immaginiamo una festa di carnevale per bambini o ragazzi o proviamo a ricordare una simile festa della nostra infanzia o di quella dei nostri figli. Alle feste di carnevale si partecipa con i travestimenti più diversi: principesse e regine, principi e cavalieri, fate e maghetti, cow boy e Zorro, pirati e draghi, crocerossine e infermiere, Robin Hood, Peter Pan, Cappuccetto Rosso, draghi, eroi dei cartoni animati,… Molti bambini riescono a interpretare il personaggio del loro travestimento in modo molto vivace e convincente attraverso un particolare modo di parlare, di atteggiarsi, di muoversi, di agire, di provare sentimenti, di rapportarsi agli altri.
Alcuni di questi personaggi sono chiaramente riconoscibili anche in noi e non solo in occasioni speciali ma in vari momenti della quotidianità; alcune persone hanno infatti un parte di loro che esprime un forte senso di ribellione e di giustizia sociale come uno Zorro o un Robin Hood; alcuni hanno una parte “crocerossina” che tende a impegnarsi per essere di aiuto agli altri; altri possono avere una parte “pirata”, un po’ egocentrica, furba, spregiudicata, poco rispettosa delle regole; altri ancora possono avere una parte “principessa” o “principe” che ama essere notata, apprezzata, mettersi in mostra, pavoneggiarsi un po’; alcuni possono avere una parte “Peter Pan” che esprime il desiderio di non crescere nell’assunzione di ruoli e responsabilità…
Questi e molti altri personaggi possono essere presenti in noi e alternarsi nella nostra vita come attori su un palcoscenico. Se noi guardiamo quindi con attenzione alla nostra personalità non riusciremo più a immaginarcela come una realtà unica e monolitica ma saremmo portati a rappresentarla come un insieme di parti, veri e propri personaggi che vestiti con gli abiti più diversi e calati nei loro diversi ruoli cercano espressione sotto i riflettori del palcoscenico della nostra vita interiore e di relazione.
La letteratura e la cinematografia hanno raccontato in molte occasioni e forme diverse il fatto che in noi coesistono e si alternano più parti diverse. Un esempio classico è rappresentato dal celebre romanzo ottocentesco di Robert Luis Stevenson intitolato: “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”. Nel libro il protagonista, Dottor Jeckill, intuisce, dai propri studi sulla psiche e sulla personalità e da osservazioni sulla propria condotta morale, che l’animo umano presenta in realtà un molteplicità di parti, veri e propri personaggi, che possono alternativamente esprimersi. Jekill scopre poi una pozione in grado di fare emergere una parte della sua personalità incline al male, spietata, scellerata e primordiale antitetica alla parte di sé che esprime solitamente nella quotidianità di uomo rispettabile e morale. Sperimentando la pozione su di sé, il dottor Jekyll si trasforma quindi nel signor Hyde artefice di misfatti e delitti.
La psichiatria nel corso della sua storia ha descritto situazioni patologiche espressione di questa molteplicità di parti che oggi vengono diagnosticate con i termini “Disturbo di personalità multipla” (in acronimo DPM)“ oppure “Disturbo Dissociativo di Identità (DDI)”.
Il Disturbo di Personalità Multipla è caratterizzato dalla presenza nello stesso individuo di due o più identità o stati della personalità distinti ciascuna con caratteristiche relativamente costanti come un proprio modo di percepire se stessi e l’ambiente, di relazionarsi agli altri, di affrontare le situazioni, di pensare, di provare prevalentemente alcuni sentimenti o emozioni. Le diverse personalità si alternano nel controllare e dirigere il modo di presentarsi e di comportarsi dell’individuo. Solitamente ciascuna personalità non ricorda comportamenti, azioni, atteggiamenti, riferibili alle altre personalità della cui esistenza spesso non vi è neppure consapevolezza. Nella letteratura psichiatrica sono stati descritti casi con numero di personalità che si alternano che va da due-tre fino a più di otto. Spesso sono stati descritti, nel passato delle persone con questo disturbo, gravi eventi stressanti come incidenti o violenze fisiche o psicologiche. Pertanto si può ipotizzare che il Disturbo di Personalità Multipla sia, da un punto di vista psicodinamico, la conseguenza di un fallimento nei processi di integrazione della personalità nei suoi vari aspetti e parti, associato a gravi traumi. Questo disturbo è descritto estesamente nella letteratura scientifica medica e rappresenta anche una categoria diagnostica ben definita nei manuali di psichatiria compreso il Manuale Statistico Diagnostico dei Disturbi Mentali dell’American Paychiatric Association (DSM).
Tra i casi clinici di Disturbo di Personalità Multipla descritti in letteratura psichiatrica alcuni sono diventati famosi anche attraverso la descrizione in libri e la trasposizione cinematografica. Ad esempio nel 1954 una giovane studentessa d’arte alla Columbia University di New York, negli Stati Uniti, di nome Shirely Aredell Mason (il cui pseudonimo era Sybil Dorsett) si rivolse alla psichiatra americana Cornelia Wilbur riferendo di non avere ricordo di quello che le accadeva per lunghi intervalli di tempo. Nel corso delle sedute la dottoressa Wilbur si accorse che Sybil presentava ben sedici personalità diverse, vere e proprie identità separate che variavano per età e caratteristiche psicologiche e comportamentali. Sybil descrisse alla dottoressa Wilbur che da bambina aveva sofferto per abusi psicologici e fisici da parte della madre, seconda moglie del padre. In undici anni di lavoro psicologico con la dotterssa Wilbur Sybil riuscì ad affrontare il suo passato e a riprendere coscienza integrata di sé. Nel 1973 Flora Rheta Schreiber ha scritto un libro intitola appunto “Sybil” da cui sono stati tratti due film omonimi uno nel 1976 e uno del 2007 diretto da Joseph Sargent.
Un altro film, “La donna dai tre volti” del 1957, che valse l’Oscar alla protagonista Joanne Woodward, descrive un famoso caso clinico di Disturbo di Personalità Multipla in cui la paziente “Eva” (il cui vero nome era Chirs Sizemore), presentava tre diverse personalità. La ragazza si era rivolta allo psichiatra perché soffriva di forti mal di testa cui seguivano momenti di black out della memoria. La donna, ansiosa e remissiva, durante una seduta si era presentata in modo completamente diverso: seduttiva, spigliata, spiritosa ed egocentrica. Questa seconda personalità che lo psichiatra chiamò “Eva nera” era consapevole dell’altra – denominata “Eva bianca” – ma non viceversa. Nel corso delle sedute emerse una terza personalità, Jane, brillante, capace, autoaffermativa che compativa “Eva bianca”.
I Disturbi di Personalità Multipla, che nonostante il grande interesse sia della letteratura scientifica sia della cinematografia sono comunque una condizione rara, rappresentano probabilmente un emergere a livello psicopalogico, con frammentazione dell’identità, della fisiologica struttura molteplice della personalità.
In ambito psicologico diversi autori hanno dato differenti formulazioni teoriche della costituzione molteplice della nostra personalità. Già William James aveva trattato questo concetto indicando le varie parti della personalità come “i vari sé”, ed evidenziandone gli aspetti collegati ai vari ruoli che giochiamo nella vita.
Karl Gustav Jung, ha invece formalizzato il concetto di “complesssi” intesi come insieme di elementi psichici – quali emozioni, pensieri, sensazioni, intuizioni – che essendo in relazione tra loro ed ad un nucleo profondo aggregante formano un insieme , si”costellano”.
Il maggior contributo in questo campo è stato dato dallo psichiatra e psicoterapeuta italiano Roberto Assagioli il quale ha coniato il termine “subpersonalità” proprio per indicare le molteplici parti della nostra personalità.
Volendo oggi riassumere il contributo di questi diversi autori possiamo dire che le “subersonalità” sono parti della nostra personalità – ovvero del nostro modo di essere e di esprimerci nella vita -costituite da un nostro bisogno o desiderio importante intorno al quale si strutturano e organizzano una serie di caratteristiche psico-comportamentali (come ad esempio un particolare modo di usare il corpo, di muoversi, di parlare, di pensare o di vedere le cose, di rapportarci agli altri, specifici atteggiamenti, credenze, convinzioni e motti, alcune emozioni prevalenti) che di quel bisogno o desiderio sono espressione.
È possibile che a questo punto non sia ancora molto chiaro per il lettore cosa siano veramente le subpersonalità. Il prossimo capitolo sarà quindi dedicato a fare diventare questo concetto una esperienza e una constatazione personali.
Le nostre subpersonalità
Il capitolo precedente ci ha permesso di intuire che la nostra personalità è molteplice, cioè composta di varie parti, e ci ha introdotto il concetto di “subpersonalità”. Una subpersonalità è una parte della nostra personalità, ovvero del nostro modo di essere e di esprimerci nella vita, costituita da un nostro bisogno o desiderio importante intorno al quale si strutturano e organizzano un particolare modo di usare il corpo, di muoversi, di parlare, un modo di pensare o di vedere le cose, di rapportarci agli altri, specifici atteggiamenti, credenze, convinzioni e motti, alcune emozioni prevalenti.
Ma proviamo adesso a fare diventare questo concetto una esperienza personale. Per fare questo è importante che individuiamo almeno alcune delle nostre subpersonalità e che impariamo a osservarle esprimersi nella nostra vita.
Per riconoscere alcune nostre subpersonalità possiamo partire dai nostri ruoli. Un ruolo è una parte che giochiamo nella vita con gli altri, nella società; in base al ruolo che abbiamo gli altri si aspettano da noi qualcosa.
Nella nostra vita noi possiamo giocare molti ruoli diversi come ad esempio: genitore, figlio, moglie, marito, partner, lavoratore, insegnante, medico, paziente, condomino, cittadino, contribuente, utente di internet, ricercatore, consumatore, elettore, direttore, impiegato, conduttore,…
Possiamo provare a identificare almeno qualcuno dei nostri ruoli e poi sceglierne uno in particolare che sentiamo che corrisponde ad un nostro bisogno o desiderio profondo, nel quale sentiamo il nostro “cuore” pulsare, un ruolo che giochiamo nella vita con passione. Osserviamo se questo ruolo cui teniamo e che esprime qualcosa di importante per noi ha un suo stile particolare: quando siamo calati in quel ruolo abbiamo ad esempio un particolare modo di vestire? Abbiamo un particolare modo di usare il corpo? un modo particolare di muoverci? Un particolare modo di parlare? Quando giochiamo nella vita quel ruolo proviamo con maggior frequenza alcune particolari emozioni? Abbiamo uno specifico modo di pensare o di vedere le cose? specifici atteggiamenti? credenze? convinzioni e motti?
Dopo aver risposto a queste domande è importante che formuliamo chiaramente il bisogno o desiderio per noi importante che ci spinge a giocare questo ruolo nella vita. A questo punto ci troveremo ad avere identificato una nostra subpersonalità.
Facciamo un esempio: una persona che nella vita fa l’insegnante e che sente che in questa attività esprime una parte di sé importante e vitale potrebbe scegliere di partire proprio da questo ruolo. Potrebbe notare allora, che quando fa l’insegnante sceglie un abbigliamento appropriato, si muove e gesticola in modo da risultare calmo e autorevole, parla ad alta voce cercando chiarezza in quello che vuole comunicare, prova solitamente alcuni sentimenti più di altri, utilizza in particolare delle conoscenze e delle esperienze, tende a ripetere alcune azioni o modalità che ritiene efficaci per insegnare. Riconoscendo il bisogno profondo che lo spinge a insegnare potrebbe osservare che esso risiede nel voler trasmettere la passione per una materia che ama, oppure nel desiderio di occuparsi della crescita e maturazione di altre persone. Ecco allora che questa persona si trova ad avere identificato la propria “subpersonalità dell’insegnante” costituita da un bisogno profondo e da un insieme di caratteristiche psicologiche e comportamentali che sono in relazione con questo bisogno e tra loro e che nell’insieme formano una parte della sua personalità che si esprime, più o meno estesamente, nella sua vita.
Dobbiamo a questo punto notare che non sempre un ruolo che abbiamo nella nostra vita esprime una nostra subpersonalità. Ciò che qualifica infatti principalmente una subpersonalità è il suo “cuore” costituito da un bisogno o desiderio vitale da cui derivano un insieme di caratteristiche psicologiche e comportamentali ad esso correlate e che ne consentono l’espressione. Ma accanto a dei ruoli che hanno questo “cuore”, animati cioè da un bisogno, vi sono dei ruoli che ci capita di svolgere e a cui non corrisponde nessun bisogno profondo. Ad esempio alcuni svolgono il ruolo di insegnante semplicemente perché gli è capitato come mestiere ma non hanno nessun interesse particolare nel farlo, né motivazioni profonde, né sentono con quel ruolo di esprimere parti di sé cui tengono.
Alcuni di questi ruoli cui non corrisponde nessun nostro bisogno o desiderio profondo possono addirittura essere scelti come maschera per fingere un aspetto che non abbiamo per niente o solo in piccola parte. Vi sono persone che ad esempio pur non avendo difetti alla vista scelgono di usare occhiali senza gradazione per darsi un’ “aria da intellettuale”; altri ostentano le loro telefonate al cellulare per darsi un atteggiamento da persona impegnata e cercata dagli altri quando magari in realtà non lo sono affatto.
Una volta compreso e fatto proprio il concetto di subpersonalità partendo dai nostri ruoli, la cosa più semplice e diretta per procedere nell’esplorazione del nostro animo molteplice può essere quella di fare un elenco dei nostri bisogni vitali e dei desideri importanti che accompagnano la nostra vita e osservare come intorno a questi nuclei psichici di attrazione si strutturano le nostre subpersonalità.
Nel procedere all’inventario delle varie subpersonalità, dopo averne riconosciuto le varie caratteristiche psicologiche e comportamentali e dopo aver formulato con chiarezza il bisogno che ne rappresenta il cuore è molto utile dare loro un nome che ce le renda facilmente identificabili e richiamabili alla memoria e, nel tempo, “familiari”. Questo nome può essere serio o ironico, può essere tratto dalla nostra storia così come dalla letteratura o dal cinema l’importante è che sia per noi semplice e facilmente collegabile alla subpersonalità.
Come i personaggi di un testo teatrale su un palcoscenico si succedono nel prendere spazio e parola così le nostre subpersonalità tendono ad alternarsi nella nostra vita e a giocare la loro parte. Ogni volta che la nostra vita evoca un particolare bisogno o desiderio tende a entrare in scena la subpersonalità corrispondente. Ogni volta che un bisogno preme da dentro di noi tende a mettere in azione la subpersonalità corrispondente. Relativamente a questo ultimo punto va sottolineato che le subpersonalità chiedono espressione e tanto più intenso è il bisogno/desiderio che ne costituisce il nucleo e tanto più cercheranno espressione nella nostra vita. Se ad esempio una persona è mossa da un intenso desiderio di conoscenza e di sperimentazione esso attraverso la relativa subpersonalità tenderà ad esprimersi magari attraverso una professione di studioso e ricercatore oppure attraverso una passione per la cucina che si attua con una tendenza a sperimentare nuove ricette o ad apprendere sempre nuove e migliori preparazioni di piatti.
Capita a volte che più subpersonalità siano in scena contemporaneamente ovvero tendano ad esprimersi nello stesso tempo o circostanza; ci capita infatti non di rado di provare desideri contrastanti, sentimenti diversi per uno stesso oggetto o situazione, ambivalenze, e queste divergenze e conflitti possono essere facilmente spiegati riconoscendo le diverse subpersonalità che possono essere contemporaneamente in gioco in una stessa situazione.
Al “cuore” delle nostre subpersonalità vi è una diade costituita da un bisogno e dalla relativa paura
Abbiamo detto che solitamente il nucleo energetico, il cuore di una subpersonalità è costituito da un bisogno o da un desiderio vitale. Precisiamo ora meglio: al cuore di ogni subpersonalità vi è una coppia di elementi costituita da un bisogno e dalla corrispettiva paura. Quando parliamo di bisogni psicologici o relazionali infatti in realtà possiamo osservare che ciascun bisogno è legato ad una specifica e corrispondente paura. Alcuni esempi: il desiderio di essere apprezzato è legato alla paura di deludere, il desiderio di attenzioni dagli altri alla paura del disinteresse e dell’indifferenza, il desiderio di una relazione alla paura dell’abbandono. Quando abbiamo un bisogno, abbiamo quindi anche la paura corrispondente; a momenti possiamo percepire ed esprimere più l’aspetto “bisogno” della diade, a volte più il corrispondente aspetto “paura”.
Le subpersonalità primarie
Tutte le persone condividono alcuni bisogni psicologici fondamentali come ad esempio il bisogno di essere amati, il bisogno di sicurezza, il bisogno di sentirsi amati per ciò che si è, il bisogno di essere apprezzati, il bisogno di essere liberi e indipendenti, il bisogno di essere interessanti per gli altri. Questi bisogni psicologici universali degli esseri umani – veri e propri “bisogni primari” – rappresentano il cuore di altrettante subpersonalità che chiameremo “subpersonalità primarie”.
Di seguito riportiamo alcune subpersonalità primarie con il nome che di solito viene dato loro in ambito psicologico e con il relativo nucleo costituito da una specifica diade bisogno primario-paura primaria:
►Subpersonalità depressa: bisogno di amore – paura di essere vuoto
►Subpersonalità ansiosa/fobica: bisogno di sicurezza – paura di essere fragile e debole
►Subpersonalità ossessiva: bisogno di accettazione ovvero di essere amati per ciò che si è – paura di sbagliare e di essere inadeguato
►Subpersonalità istrionica: bisogno di essere visto e riconosciuto – paura di non essere guardato e di non essere interessante
►Subpersonalità schizoide: bisogno di libertà e indipendenza – paura di essere invasi nelle relazioni
►Subpersonalità narcisistica: bisogno di essere apprezzato – paura di non valere
In ciascuna di queste subpersonalità primarie come accade per tutte le altre subpersonalità intorno al nucleo costituito dalla diade bisogno-paura si andranno a strutturare tutta una serie di caratteristiche psico-comportamentali quali atteggiamenti corporei, modi di pensare, stili emotivi, qualità e difetti tipici. Una parte di queste caratteristiche psico-comportamentali sono per ciascuna subpersonalità primaria abbastanza tipiche e tendono a riproporsi in diversi individui che presentano in modo spiccato quel tipo di subpersonalità (le caratteristiche psico-comportamentali delle subpersonalità primarie potranno essere oggetto altrove di una trattazione più approfondita).
Le subpersonalità primarie sono tutte presenti in qualche misura in ciascuno di noi. Nella personalità di ognuno però ciascuna di queste subpersonalità può avere un diverso peso perché le esperienze, gli eventi e le relazioni della nostra vita possono portarci a percepire e ad esprimere alcuni di questi bisogni e paure in modo più spiccato di altri. La personalità di un individuo nel suo complesso si conformerà marcatamente sulla base del tipo o dei tipi di subpersonalità primarie prevalenti in quell’individuo.
Molta della felicità che possiamo provare nella vita dipende dalla gratificazione dei bisogni che costituiscono il cuore delle subpersonalità primarie pertanto esse hanno un ruolo per noi espressivo e autorealizzativo, cioè esprimono la nostra natura propriamente umana e ne guidano il compimento e il benessere.
Le ferite delle subpersonalità primarie e le subpersonalità difensive
Nel corso della vita di ciascuna persona e in particolare nell’infanzia è raro che tutti i bisogni primari trovino una appropriata espressione e gratificazione. Capita spesso che i nostri genitori, educatori, amici e parenti rispondano in modo inadeguato (nei modi e nei tempi) ad esempio al nostro bisogno di sentirci liberi e indipendenti o al bisogno di sentirci sicuri o di essere apprezzati. Nella vita di una persona ogni risposta ad un bisogno primario da parte del contesto in cui vive che si caratterizza per essere marcatamente o ripetutamente “inadeguata” costituisce quella che in psicologia alcuni autori chiamano “ferita primaria”. L’effetto di un ferita primaria è quello di indurre una alterazione dell’espressione del bisogno ferito e soprattutto un grande incremento della relativa paura.
Ad esempio se un bambino cresce in una famiglia dove uno o più componenti sono molto impauriti dai pericoli del mondo e gli trasmettono una percezione della realtà come particolarmente pericolosa e minacciosa è probabile che si sentirà destabilizzato nel suo bisogno di percepirsi sicuro e svilupperà la paura di non essere in grado di fronteggiare queste minacce; anche da adulto proverà con frequenza ansie e insicurezze.
Un altro esempio: se un bambino non riceve dal contesto in cui cresce – famiglia, amici, scuola, sport – apprezzamenti e conferme del suo valore “appropriati” (né deficitari, né eccessivi) è probabile che non impari a stimarsi in modo realistico e benevolo con una conseguente paura di non valere veramente. Mosso da questa paura e da un eccessivo bisogno di apprezzamenti potrà comportarsi da adulto in modo molto incentrato sulla ricerca di conferme del proprio valore.
Di solito un bisogno primario “ferito” durante la nostra infanzia tende poi a ripresentarsi nel corso della nostra vita deformato e soprattutto ingigantito, cioè troppo espresso e condizionante per quanto ci si aspetterebbe in una persona adulta e matura. La subpersonalità che ha alla base un bisogno e/o una paura ingigantiti risulterà iperespressa sia nel contesto della nostra personalità sia nel contesto delle relazioni con gli altri e tenderà a prendere spazio vitale ad altre subpersonalità e a renderle marginali.
Quando si realizza una “ferita primaria” non si assiste soltanto all’ingigantirsi e deformarsi della diade bisogno-paura. Un secondo effetto molto importante è costituito dalla genesi di “desideri difensivi”.
Ad esempio se una persona nel corso della propria infanzia si è sentita ferita nel proprio bisogno di sentirsi libera e indipendente (cioè dotato di propri sentimenti, valori, desideri, aspirazioni etc), non rispettata nella propria intimità psico-emotiva a causa di una profonda e condizionante invadenza di un adulto, successivamente potrà provare un forte desiderio di solitudine che la protegga dalla paura di essere nuovamente invasa e condizionata nelle relazioni con gli altri.
La ferita di ciascuna subpersonalità primaria porta alla genesi di uno o di diversi di questi desideri difensivi. Vediamo, a titolo di esempio, il desiderio difensivo più comune che caratterizza la risposta alla ferita di ciascuna subpersonalità primaria:
►Subpersonalità depressa: desiderio che altri riempiano il nostro vuoto e si prendano cura di noi dimostrandoci il loro amore.
►Subpersonalità fobica: desiderio di rassicurazione e protezione
►Subpersonalità ossessiva: desiderio di controllo e potere
►Subpersonalità istrionica: desiderio di sedurre
►Subpersonalità schizoide: desiderio di solitudine
►Subpersonalità narcisistica: desiderio di ammirazione e di essere speciale
Abbiamo detto che ogni volta che in noi si genera una “ferita primaria” tende a crescere e a svilupparsi in modo abnorme la relativa “paura primaria” e che per ridurre al minimo possibile il disagio dovuto a questa paura tendiamo a sviluppare uno o più desideri difensivi. Di fatto quindi si formano delle nuove diadi costituite dalla paura primaria ingigantita in seguito alla ferita e dal desiderio difensivo; queste nuove diadi sono il nucleo centrale di vere e proprie “subpersonalità difensive”. Le subpersonalità difensive avranno tutte le caratteristiche delle altre subpersonalità ma si distingueranno per non essere espressive di una parte di noi, di un bisogno vitale dalla cui gratificazione derivi felicità, ma piuttosto per essere orientate alla riduzione di una paura e quindi a minimizzare una sofferenza.
Pur nascendo con questa finalità protettiva, le subpersonalità difensive se diventano prevalenti nell’ambito della nostra personalità e della nostra vita di relazione possono togliere spazio alle subpersonalità espressive e così facendo produrre loro stesse più sofferenza di quella che vorrebbero ridurre e molte mancate occasioni di riconoscimento, realizzazione e gratificazione dei nostri bisogni vitali.
Conclusioni
Ogni persona ha un “animo molteplice” ovvero una personalità composta da numerose subpersonalità. Alcune di queste subpersonalità – che abbiamo chiamato subpersonalità primarie – sono comuni a tutti gli individui anche se in ciascuno si esprimono in misura e in forme particolari.
È inevitabile che nel corso della vita, soprattutto nell’infanzia, una o più di queste subpersonalità primarie risultino in qualche misura ferite con conseguente deformazione del bisogno-paura che ne costituisce il nucleo vitale e con la genesi di subpersonalità difensive.
Compito fondamentale di ogni persona è quello di imparare a conoscere le proprie subpersonalità e a dirigerne in modo sapiente ed efficace l’espressione per una crescita del benessere personale e degli altri.
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